Hilda Ramirez dall’Ecuador a Stezzano: «Dopo vent’anni in Italia non è giusto definirci ancora stranieri»

Hilda Ramirez ha 26 anni ed è giunta in Italia dall’Ecuador, vicino a Guayaquil città sull’Oceano Pacifico dove è nata, all’età di sette anni. Da due anni Hilda vive a Stezzano, in provincia di Bergamo, dove lavora come responsabile della comunicazione in un’azienda di importazione di prodotti gourmet. «In Ecuador i miei genitori erano entrambi insegnanti – racconta -, mia madre insegnava alle scuole superiori e mio padre alle scuole elementari. Tutto è cambiato quando a cinque anni sono stata affetta da meningite da meningococco, nonostante fossi stata vaccinata. Le cure erano molto care, sono stata in coma per molto tempo, quando mi sono svegliata ho scoperto di aver perso l’uso degli arti inferiori, mi muovevo in carrozzella. Allora i miei genitori hanno deciso di emigrare per potermi curare meglio. Prima mamma e papà pensavano di andare negli USA ma serviva un anno per ottenere il visto, allora un lontano cugino di mamma che viveva a Genova, le ha suggerito di rivolgersi all’Ospedale pediatrico Gaslini. Dopo aver letto la mia cartella clinica i medici del Gaslini hanno accettato di curarmi. La prima ad arrivare in Italia è stata mia madre, perché c’era la necessità di regolarizzare tutti i documenti, trovare una casa, ecc… dopo un anno e mezzo siamo arrivati io e mio padre, qualche mese più tardi le mie sorelle maggiori le quali allora avevano 19 e 17 anni. Ho vissuto a Genova fino a due anni fa, quando mi sono trasferita in provincia di Bergamo per amore» racconta sorridendo Hilda, che aggiunge «ho lasciato il mare per la Pianura Padana». Le cure per guarire sono state tanto intensive quanto invasive, ma Hilda era sempre sostenuta dall’affetto dei genitori i quali per salvare la vita della figlia minore avevano venduto tutto, casa e frigorifero compresi.
«Ai miei genitori, che lavorano presso le ferrovie di Genova io devo tutto, mamma e papà sono adesso i miei migliori amici». In quel periodo la piccola Hilda frequentava a Genova un Istituto di frati cappuccini “Sorriso francescano”, che l’ha aiutata con l’integrazione e con l’apprendimento della lingua e a fare i compiti. I genitori di Hilda lavoravano molto, così spesso e volentieri erano le suore e i preti ad accompagnare la bambina in ospedale per le cure. «Sono stata per un periodo in convitto, entravo la domenica sera e uscivo il venerdì, questo mi ha aiutato moltissimo sia a livello di apprendimento della lingua, sia a livello di condivisione con gli altri bimbi. Era un posto dove non ti sentivi diverso dagli altri. “Sorriso francescano” ha rappresentato per me una grande famiglia». A 13 anni Hilda ha terminato le cure e non ha più avuto problemi di salute di nessun genere. Ottimi i rapporti di Hilda con i compagni di classe: «Quando per la prima volta sono entrata in una classe italiana ero l’unica bambina un po’ più colorata. I miei compagni di scuola erano curiosissimi, affascinati dal mio nome esotico e dal colore della mia pelle. Mi vedevano come un bel fiore esotico talvolta anche da proteggere dalle maestre se avevo qualche difficoltà con l’apprendimento dell’italiano».

ANNI DI ATTESA PER LA CITTADINANZA

Hilda ha ottenuto la cittadinanza italiana due anni dopo averla richiesta. «Quando ho compiuto diciotto anni ogni anno dovevo dimostrare di stare studiando e che avevo diritto al rinnovo del permesso di soggiorno. All’età di ventidue anni, mentre scrivevo la tesi di laurea ho deciso di richiedere la cittadinanza italiana. Per ottenerla sono dovuta tornare in Ecuador per ottenere una serie di documenti, per esempio dimostrare di avere la fedina penale pulita. I miei hanno sostenuto una serie di spese, ho presentato quindi la richiesta presentando il reddito dei miei genitori, perché in quanto studente vivevo ancora con loro. Quando mi sono laureata in Scienze delle Comunicazione ancora non avevo ottenuto la cittadinanza». Hilda Ramirez è un membro del Movimento Italiani senza cittadinanza (www.italianisenzacittadinanza.it/).
Domandiamo a Hilda quanto è importante sensibilizzare l’opinione pubblica su una legge, quella sullo “Ius soli” che è diventata nel corso degli anni una questione di civiltà. «È importantissimo quanto è altrettanto importante capire, informarsi bene dalle giuste fonti. Il nostro Movimento è presente su Facebook, siamo disponibili ad ascoltare anche individualmente. Chiunque può scriverci, contattarci se desidera capire di più o se non ha capito la normativa. È importante inoltre dosare le parole. Spesso dai mass-media veniamo associati a parole pesanti quali terrorismo, bande latino americane, immigrazione clandestina, ecc… tutte cose lontane da noi. Non stiamo chiedendo l’integrazione, noi siamo già integrati, facciamo parte di un tessuto sociale che è stato inclusivo già di suo nell’arco degli anni. Chiediamo solo di essere riconosciuti come italiani, perché noi ci sentiamo italiani a tutti gli effetti, parliamo, scriviamo e sogniamo in italiano. Lo Stato italiano ci ha negato un diritto. Abbiamo origini diverse, origini che hanno arricchito la nostra personalità. Certo, abbiamo empatia verso i Paesi che parlano la nostra madrelingua. La nostra multiculturalità è la nostra ricchezza. Quando si possiedono due culture si hanno due visioni della vita e del mondo, perché sono due visioni che vanno a braccetto. A un senatore che si appresta a votare contro lo “Ius soli” vorrei dire di andarsi a studiare la Storia. Non si può parlare di italianità al 100% in un mondo che si sta evolvendo in continuazione, sotto i nostri occhi. La Storia ci insegna che l’uomo si è sempre spostato, non possiamo definirci di un’unica nazionalità quando in verità facciamo tutti parte di una società in continua evoluzione. Non siamo solo italiani, ma siamo europei».

LA LEGGE IN DISCUSSIONE

L’Articolo 3 della Costituzione Italiana, recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando, di fatto, la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Nel nostro Paese al 1° gennaio 2016 gli stranieri residenti in Italia sono 5.026.153, pari all’8,3% della popolazione. Su 8 milioni di studenti, 1 milione sono di origine straniera, il 60% è nato in Italia. Sono 800mila i figli di immigrati, in gran parte nati nella Penisola, che sperano che lo “Ius soli”, il ddl legge sulla cittadinanza approvata dalla Camera alla fine del 2015, passi al Senato. Al Senato il disegno di legge “Disposizioni in materia di cittadinanza” che prevede la modifica della legge n. 91 del 1992, è rimasto fermo per molto tempo. Alcuni giorni fa la senatrice Doris Lo Moro (Mdp), relatrice del provvedimento in commissione Affari costituzionali del Senato, si è mostrata ottimista sull’esito della votazione: «Il disegno di legge sullo Ius soli arriverà in Aula anche senza relatore e sarà approvato».
Sullo “Ius soli” al Senato si è venuto a creare un patto allargato tra Pd e le forze della sinistra. Il M5s invece ha annunciato l’astensione che al Senato in pratica equivale al voto contrario, mentre il centro destra è compatto nel voto contrario. Ricordiamo che l’ultima legge sulla cittadinanza, legge n. 91, introdotta nel 1992, finora prevede un’unica modalità di acquisizione chiamata “Ius sanguinis (dal latino, “diritto di sangue”), cioè un bambino è italiano se almeno uno dei genitori è italiano. Un bambino nato da genitori stranieri, anche se venuto alla luce sul territorio italiano, può chiedere la cittadinanza solo dopo aver compiuto 18 anni e se fino a quel momento abbia risieduto in Italia legalmente e ininterrottamente. Questa legge però ormai è diventata carente, viviamo da tempo in una società multirazziale. Vi sono bambini che giocano con i nostri figli che hanno un colore diverso della pelle e parlano in dialetto romano, bolognese o bergamasco. Bambini che hanno studiato la storia italiana e che si sentono italiani ma che paradossalmente sono ancora senza cittadinanza, quindi cittadini di serie B. Tutti giovani italiani che studiano e lavorano con una sola particolarità: non possiedono un documento che possa testimoniare la loro cittadinanza. Una generazione di cittadini a metà. «La Chiesa è a favore dello “Ius soli”, la legge è indispensabile», ha dichiarato recentemente in un’intervista Mons. Gian Carlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes e arcivescovo di Ferrara, il quale considera il provvedimento «uno strumento che migliorerebbe la vita nelle nostre città, favorendo inclusione e partecipazione».

COS’È LO “IUS SOLI”

“Ius soli”: La nuova legge introduce due nuovi criteri per ottenere la cittadinanza prima dei 18 anni: si chiamano Ius soli (“diritto legato al territorio”) temperato e Ius culturae (“diritto legato all’istruzione”).
Lo Ius soli puro prevede che chi nasce nel territorio di un certo stato ottenga automaticamente la cittadinanza: a oggi è valido ad esempio negli Stati Uniti, ma non è previsto in nessuno stato dell’Unione Europea. Lo Ius soli “temperato” presente nella legge in discussione al Senato prevede invece che un bambino nato in Italia diventi automaticamente italiano se almeno uno dei due genitori si trova legalmente in Italia da almeno 5 anni. Se il genitore in possesso di permesso di soggiorno non proviene dall’Unione Europea, deve aderire ad altri tre parametri:
– deve avere un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale;
– deve disporre di un alloggio che risponda ai requisiti di idoneità previsti dalla legge;
– deve superare un test di conoscenza della lingua italiana.
L’altra strada per ottenere la cittadinanza è quella del cosiddetto Ius culturae, e passa attraverso il sistema scolastico italiano. Potranno chiedere la cittadinanza italiana i minori stranieri nati in Italia o arrivati entro i 12 anni che abbiano frequentato le scuole italiane per almeno cinque anni e superato almeno un ciclo scolastico (cioè le scuole elementari o medie). I ragazzi nati all’estero ma che arrivano in Italia fra i 12 e i 18 anni potranno ottenere la cittadinanza dopo aver abitato in Italia per almeno sei anni e avere superato un ciclo scolastico.