Papa Francesco in pellegrinaggio a Bozzolo e a Barbiana: «Sono i parroci la forza della Chiesa italiana»

“Oggi sono pellegrino qui a Bozzolo e poi a Barbiana, sulle orme di due parroci che hanno lasciato una traccia luminosa, per quanto ‘scomoda’, nel loro servizio al Signore e al popolo di Dio. Ho detto più volte che i parroci sono la forza della Chiesa in Italia”. Con queste parole il Papa ha iniziato il suo discorso a Bozzolo. “Ho detto più volte che i parroci sono la forza della Chiesa in Italia”, l’omaggio di Francesco: “Quando sono i volti di un clero non clericale, essi danno vita ad un vero e proprio ‘magistero dei parroci’, che fa tanto bene a tutti”. “Don Primo Mazzolari è stato definito il parroco d’Italia; e San Giovanni XXIII lo ha salutato come ‘la tromba dello Spirito Santo nella Bassa padana’”, ha ricordato il Papa: “Credo che la personalità sacerdotale di don Primo sia non una singolare eccezione, ma uno splendido frutto delle vostre comunità, sebbene non sia stato sempre compreso e apprezzato”, ha proseguito francesco, che ha citato Paolo VI: “Camminava avanti con un passo troppo lungo e spesso noi non gli si poteva tener dietro! E così ha sofferto lui e abbiamo sofferto anche noi. È il destino dei profeti”. La formazione di don Mazzolari, per Francesco, “è figlia della ricca tradizione cristiana di questa terra padana, lombarda, cremonese. Negli anni della giovinezza fu colpito dalla figura del grande vescovo Geremia Bonomelli, protagonista del cattolicesimo sociale, pioniere della pastorale degli emigranti”. “Non spetta a me raccontarvi o analizzare l’opera di don Primo”, ha detto il Papa: “Ringrazio chi negli anni si è dedicato a questo. Preferisco meditare con voi, soprattutto con i miei fratelli sacerdoti, l’attualità del suo messaggio, che pongo simbolicamente sullo sfondo di tre scenari che ogni giorno riempivano i suoi occhi e il suo cuore: il fiume, la cascina e la pianura”.

“Don Mazzolari non è stato uno che ha rimpianto la Chiesa del passato, ma ha cercato di cambiare la Chiesa e il mondo attraverso l’amore appassionato e la dedizione incondizionata”. Lo ha ricordato il Papa, a commento della prima immagine usata nel discorso tenuto a Bozzolo: il fiume. “Don Primo ha svolto il suo ministero lungo i fiumi, simboli del primato e della potenza della grazia di Dio che scorre incessantemente verso il mondo”, ha spiegato Francesco: “La sua parola, predicata o scritta, attingeva chiarezza di pensiero e forza persuasiva alla fonte della Parola del Dio vivo, nel Vangelo meditato e pregato, ritrovato nel Crocifisso e negli uomini, celebrato in gesti sacramentali mai ridotti a puro rito”. “Don Mazzolari, parroco a Cicognara e a Bozzolo, non si è tenuto al riparo dal fiume della vita, dalla sofferenza della sua gente, che lo ha plasmato come pastore schietto ed esigente, anzitutto con sé stesso”, il ritratto del Papa: “Lungo il fiume imparava a ricevere ogni giorno il dono della verità e dell’amore, per farsene portatore forte e generoso”. “L’essere un ‘ripetitore’ è la nostra forza. Però, tra un ripetitore morto, un altoparlante, e un ripetitore vivo c’è una bella differenza!”, ha esclamato Francesco citando le parole rivolte da don Mazzolari ai seminaristi: “Il sacerdote è un ripetitore, però questo suo ripetere non deve essere senz’anima, passivo, senza cordialità. Accanto alla verità che ripeto, ci deve essere, ci devo mettere qualcosa di mio, per far vedere che credo a ciò che dico; deve essere fatto in modo che il fratello senta un invito a ricevere la verità”. “La sua profezia si realizzava nell’amare il proprio tempo, nel legarsi alla vita delle persone che incontrava, nel cogliere ogni possibilità di annunciare la misericordia di Dio”, ha proseguito Francesco, che ha menzionato uno dei suoi scritti, “La parrocchia”, dove il parroco di Bozzolo “propone un esame di coscienza sui metodi dell’apostolato, convinto che le mancanze della parrocchia del suo tempo fossero dovute a un difetto di incarnazione”.

“Ci sono tre strade che non conducono nella direzione evangelica”: la strada del “lasciar fare”, la strada dell'”attivismo separatista” e quella del “soprannaturalismo disumanizzante”. Lo ha detto il Papa, nel discorso pronunciato a Bozzolo, in cui, sulla scorta di don Mazzolari, ha spiegato che la strada del “lasciar fare” – del “balconare  la vita”, ha aggiunto a braccio – è quella “di chi sta alla finestra a guardare senza sporcarsi le mani”: “Ci si accontenta di criticare, di descrivere con compiacimento amaro e altezzoso gli errori del mondo intorno. Questo atteggiamento mette la coscienza a posto, ma non ha nulla di cristiano perché porta a tirarsi fuori, con spirito di giudizio, talvolta aspro. Manca una capacità propositiva, un approccio costruttivo alla soluzione dei problemi”. Il secondo metodo sbagliato è quello dell’“attivismo separatista”, per cui “ci si impegna a creare istituzioni cattoliche (banche, cooperative, circoli, sindacati, scuole…). Così la fede si fa più operosa, ma – avvertiva Mazzolari – può generare una comunità cristiana elitaria. Si favoriscono interessi e clientele con un’etichetta cattolica. E, senza volerlo, si costruiscono barriere che rischiano di diventare insormontabili all’emergere della domanda di fede. Si tende ad affermare ciò che divide rispetto a quello che unisce. È un metodo che non facilita l’evangelizzazione, chiude porte e genera diffidenza”. Il terzo errore è il “soprannaturalismo disumanizzante”, in nome del quale “ci si rifugia nel religioso per aggirare le difficoltà e le delusioni che si incontrano. Ci si estranea dal mondo, vero campo dell’apostolato, per preferire devozioni. È la tentazione dello spiritualismo. Ne deriva un apostolato fiacco, senza amore”. “I lontani non si possono interessare con una preghiera che non diviene carità, con una processione che non aiuta a portare le croci dell’ora”, ammoniva don Mazzolari: “Il dramma si consuma in questa distanza tra la fede e la vita, tra la contemplazione e l’azione”, il commento del Papa.

Foto l’Osservatore Romano – Sir