Come funziona il nuovo Servizio civile? I punti principali della riforma

Il primo passo diventato effettivo della Riforma del Terzo settore è stato il decreto che modifica e rilancia il servizio civile che diventa “universale”, cioè rivolto, e potenzialmente aperto, a tutti i giovani tra i 18 e i 28 anni compiuti. Si tratta di una grande novità innanzitutto per il riconoscimento concesso al servizio civile, figlio di quegli obiettori di coscienza che fino agli anni Settanta venivano messi in prigione perché ritenevano che la pace non si costruisse attraverso le armi o gli eserciti e di conseguenza si rifiutavano di armarsi per l’anno di leva obbligatoria. Ci fu poi la Legge 773 del 1972 che apri alla possibilità di svolgere un servizio civile alternativo a quello militare, dichiarando l’obiezione di coscienza alle armi.

Il tempo è cambiato e oggi la leva obbligatoria non esiste più. Nel frattempo è cresciuta l’importanza del Servizio civile che proprio con il decreto legislativo 40/2017 dello scorso aprile, diventa “universale”. È significativo evidenziare le finalità indicate nell’articolo 2 sono “la difesa non armata e non violenta”, l’educazione e la costruzione della pace, di cittadinanza attiva e responsabile, la promozione dei valori della Costituzione. Si elencano successivamente gli ambiti di intervento che vanno dalle azioni in campo sociale e culturale a quelle in campo ambientale o storico e artistico. Insomma il servizio civile universale diventa lo strumento per alimentare la civicness, direbbero gli inglesi, una parola che in italiano potrebbe essere tradotta con attivazione civica, forse. Allora avrà una funzione determinante per il futuro, se consideriamo che spesso una delle questioni più gravi su cui si discute è proprio il “senso civico e il senso di appartenenza alla comunità politica e civile” degli italiani.

Le novità introdotte dalla riforma sono diverse. In primo luogo si può evidenziare la ricerca di una sussidiarietà strutturata, dove non si delega soltanto agli enti di Terzo Settore o agli enti locali la responsabilità di programmazione, ma si distribuiscono compiti e obiettivi ai vari soggetti coinvolti nella realizzazione del servizio civile:
lo Stato ha un compito di coordinamento, di programmazione triennale con cadenze di piani annuali, di accreditamento degli enti, di organizzazione e di controllo delle attività.
Alle Regioni vengono assegnate attività di formazione del personale, di gestione degli enti sul territorio di ispezioni e di verifica sulla realizzazione degli interventi e sull’impiego dei volontari. Agli enti è assegnato il compito di presentare e realizzare i programmi di intervento, selezionare i volontari e formarli. Infine ai giovani è chiesto di rispettare un contratto che definisce compiti e tempi di realizzazione. Con la nuova formulazione del Servizio civile potranno accedere anche giovani non italiani dell’Unione europea e fuori dall’Ue se residenti in Italia. Il servizio sarà tra gli 8 e i 12 mesi con una paga mensile, da aggiornare con le stime Istat. Il periodo sarà poi riconosciuto sia come crediti formativi universitari sia per il curriculum vitae lavorativo. Ma si ribadisce in modo chiaro che le attività svolte in questo tempo non potranno in alcun modo sostituire quelle lavorative. Per questa ragione, oltretutto, è stato fissato un numero massimo di 25 ore settimanali.

Ovviamente ci sono alcune questioni che rimangono da risolvere. In primo luogo si tratta dell’investimento economico dello Stato. Il legislatore demanda la decisione alle disponibilità di cassa di ogni anno. Questo rende meno universale il servizio civile, perché anche dopo la riforma non tutti i giovani che faranno richiesta potranno poi svolgere l’attività. Il numero sarà deciso in base alle risorse economiche. E in questi anni abbiamo visto notevoli differenze, che poi incidono anche sull’efficacia dei progetti da realizzare.

Si pensi che se nel 2003 il numero dei volontari è stato di 35.897, l’anno successivo di 14.559, per poi tornare a salire e raggiungere 57.116 nel 2006 toccare il minimo storico con 6.608 nel 2014, e poi salire ai circa 47mila previsti per il 2017.

Altra questione è l’accreditamento degli enti. La selezione è correttamente esigente, ma d’altra parte è importante capire quale radicamento ci sia a livello territoriale, perché ancora una volta si rischia una partecipazione a macchia di leopardo sul territorio italiano. Ci sono enti di dimensioni e strutture completamente diverse, alcuni hanno un radicamento nazionale altri sono invece specifici e operano solo su alcuni territori. La loro organizzazione sarà però determinante per assicurare un’efficace progettazione e programmazione delle iniziative, una vera e qualificata formazione dei volontari, azioni concrete e puntuali coerenti agli ambiti in cui svolgono i loro interventi, perché il servizio civile universale raggiungerà le sue finalità di educare e costruire pace e cittadinanza attiva se ogni giovane volontario sentirà, durante il suo anno, di essersi impegnato e speso per una buona causa, coerente con le sue scelte iniziali.