I reduci di Amatrice. Elvira e Giovanni raccontano: ora il mondo arriva da noi, e molti ci stanno dando una mano

Amatrice, paese in provincia di Rieti, simbolo del sisma di magnitudo 6.0 che l’ha colpito nella notte tra il 23 e il 24 agosto 2016. «Il paese non esiste più» disse il sindaco Sergio Pirozzi all’Ansa poco tempo dopo la prima scossa delle 3,36. Dieci mesi dopo il primo dei quattro terremoti che hanno sconvolto l’Italia centrale, colpendo quattro regioni e causando la morte di 299 persone, la ricostruzione è ancora lontana. Eppure nonostante le macerie, la distruzione e la perdita degli affetti più cari, molti abitanti della cittadina sono rimasti.

Il sindaco di Amatrice ha chiamato “reduci”, quelli rimasti ad Amatrice e nelle zone limitrofe (gli altri abitanti sono disseminati tra L’Aquila e San Benedetto del Tronto). ”Reduci” come Elvira Guerrini di 60 anni e suo marito Giovanni Coltellese di 70 anni, tenaci e testardi attaccati al territorio anche per non perdere la propria identità. Anzi, «l’identità di Amatrice si è rafforzata ancora di più. Se prima eravamo famosi nel mondo per la pasta, adesso siamo ancora più famosi, questa volta purtroppo per via del terremoto. Questo il mondo l’ha compreso perfettamente perché il mondo sta arrivando da noi. Prima con la nostra pasta lo raggiungevamo, ora come un boomerang ci sta ritornando tutto», ci racconta Elvira che ha due figli: Francesca di 38 anni e Daniele di 31. «Ad Amatrice stanno arrivando tanti personaggi, ciascuno di loro con un contributo fattivo, dal premier canadese Justin Trudeau al Principe di Galles Charles al quale ho avuto il privilegio di cucinare gli “gnocchi ricci”, il piatto più rappresentativo della tradizione amatriciana, tipico della domenica nelle famiglie nobili di Amatrice centro la cui ricetta si tramanda inalterata da generazioni», chiarisce Elvira. La donna puntualizza che a quasi un anno dalla prima scossa c’è ancora molto da fare.

«La situazione ad Amatrice a distanza di dieci mesi dalla notte del 24 agosto non è quella che speravamo fosse ma completamente diversa. Lo scorso settembre pensavamo che dieci mesi dopo il sisma avremmo avuto qualcosa in più, che qualche concittadino sarebbe entrato nelle casette messe a disposizione della Regione Lazio. I lavori della ricostruzione vanno avanti, ma a rilento». Delle 537 casette circa attese ad Amatrice e nelle vicine frazioni, a oggi sono state consegnate appena 168. 150 dovrebbe essere consegnate in questi giorni e altre 150 a fine luglio. «Mancano ancora tantissime casette, infatti, si sta lavorando, ci sono tre lotti a Collemagrone, dove stanno costruendo le piccole abitazioni per le famiglie più numerose». Elvira e Giovanni vivono appena fuori dal centro storico di Amatrice, da quella “zona rossa”, off limits per tutti, piantonata dall’esercito. All’interno di questa zona rossa, c’era il ristorante “Ma-Tru” che era uno dei più rinomati di Amatrice e che la famiglia di Elvira aveva dato in affitto. «Le mura sono ancora nostre, quindi perdendo questo stabile, abbiamo detto addio ai risparmi di una vita. Ma siamo stati fortunati, abbiamo perso solo un immobile, nulla in confronto alla perdita di vite umane e di chi si è ritrovato solo al mondo in un attimo». Il ristorante era ricavato all’interno di uno dei palazzi più antichi di Amatrice, appartenuto a una famiglia nobile. «Oggi non c’è più. Il 24 agosto la trattoria stava in piedi ma le successive scosse, quelle devastanti della fine di ottobre hanno raso al suolo la nostra cittadina. Scosse simili a un bombardamento a tappeto come mi hanno ripetuto spesso i miei concittadini».

La notte del 24 agosto Elvira e Giovanni dormivano nella loro abitazione costruita negli anni Ottanta. «La nostra casa ha retto bene alle scosse, quindi ci ha salvato. A noi non è caduto addosso nulla, né detriti né mobili. Se non ci fossimo recati quella mattina sopra al nostro ristorante dove abitava una persona anziana insieme alla figlia per soccorrerli non ci saremmo accorti di quello che era accaduto. Più andavamo avanti, Giovanni ed io, e più ci rendevamo conto che Amatrice era uno dei punti più straziati dal terremoto. Mi ripeto ancora che in quei momenti non riuscivamo a immaginare che sotto quelle macerie vi fossero tante persone senza vita. Pensavo che fossero riuscite a scappare prima del crollo».

Adesso Elvira e Giovanni vivono all’interno di una roulotte nel piccolo giardino della loro abitazione. «Prima abbiamo vissuto nella tenda sempre nel nostro giardino, poi alle prime piogge di settembre siamo andati per circa 15 giorni in una tendopoli. Infine siamo tornati nella nostra tenda fino a che nostro figlio ha fatto venire una roulotte». Tutti i pomeriggi Elvira e Giovanni si recano nel loro appezzamento agricolo appena sotto Amatrice, in Località Cologna, Ponte Sommati, dove si dedicano alla cura dell’orto e degli animali. «Questo lavoro è stato la nostra ancora di salvezza, dandoci una parvenza di normalità. C’era l’orto da preparare per la primavera, c’erano le bestie da accudire, giorno dopo giorno». Lo scorso inverno è stato durissimo, «un inverno così quasi nessuno se lo ricordava, nemmeno le persone più anziane della nostra comunità. Le temperature la sera sono scese fino a 18 gradi sotto zero. La neve non ha mai costituito un disagio per noi, siamo una popolazione di montagna. Però tanta come quella di gennaio non l’aveva mai fatta. La miscela esplosiva è stata la neve abbinata al terremoto. Infatti, chi stava nelle roulotte o nei container o nelle poche case agibili non poteva scappare alla minima scossa, perché ostacolato da due metri di neve. Questa miscela ci ha debilitato dal punto di vista fisico e psichico».

Il moncone della Chiesa di Sant’Agostino, all’ingresso del paese e simbolo del terremoto di Amatrice è stato ingabbiato solo un mese fa, «troppo tardi», commenta Elvira. Ricordiamo che si devono portare via un milione di tonnellate di detriti. «Delle nostre meravigliose 100 chiese del 1400/1500 non abbiamo più nulla, c’è una chiesetta costruita dalla Diocesi di Rieti che io chiamo scherzando “la nostra chiesa di plastica”. La nuova chiesa è prospiciente il cimitero di Amatrice e funge anche da centro di comunità, l’altare si chiude con delle ante scorrevoli e lì ci si può incontrare per giocare a tombola in inverno, per mangiare i dolci tutti insieme e festeggiare il Carnevale, ecc…».

Oltre a una sessantina tra attività commerciali e di ristorazione, Amatrice e il suo territorio vantavano 1.200 posti letto tra alberghi, agriturismi e b&b, un turismo in lenta ma costante crescita, un’ottantina di aziende zootecniche, svariate imprese edilizie e di raccolta di legname. Adesso c’è solo una pensioncina con 10/12 posti letto, «ma i turisti torneranno presto, ne sono certa». Il marchio che faceva da traino a tutto il sistema era l’amatriciana, il mitico piatto di pasta. Anche quest’anno celebreremo alla fine di agosto la sagra degli spaghetti all’amatriciana», rivela Elvira che si augura traspaia da questo colloquio la sua positività e quella della sua famiglia. «La ricostruzione è difficile da gestire, noi abbiamo speranza nel futuro, nonostante tutto».

I Coltellese diventeranno nonni il prossimo novembre, lo scorso 11 giugno Daniele ha sposato Ana Mihaela Pop, il loro è stato il primo matrimonio celebrato in forma civile nella sede comunale dopo il sisma. A unire la coppia, il sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi. «Pensavamo di fare una cosa intima, invece abbiamo trovato i giornalisti che sono stati discreti e cortesi non intervistandoci ma eseguendo solo riprese. Auguro al mio primo nipote una vita bellissima nel paese, dove i loro genitori hanno deciso di farlo vivere: Amatrice».