Una vicenda esemplare di impegno pere la cura del creato. Protagonista mons. Francesco Panfilo, vescovo in Papua Nuova Guinea

Foto: mons. Francesco Panfilo

Impegnarsi per mettere in pratica la Laudato Si’ può costare caro.

Lo scrive Francesco Panfilo, arcivescovo in Papua Nuova Guinea,

dove un missionario laico impegnato nel contrasto al land grabbing (accaparramento di terre)

si è visto recapitare dal governo un avviso di immediata espulsione dal Paese.

Mons. Francesco Panfilo è fratello del nostro collaboratore don Giacomo Panfilo.

 

In una sua lettera, monsignor Panfilo ricostruisce la vicenda, spiegando che a partire dall’agosto 2015, l’arcidiocesi di Rabaul, nella Provincia della Nuova Britannia Orientale, ha cominciato a interrogarsi su come mettere in pratica in modo concreto la “Laudato Si’, l’enciclica sull’ambiente e la cura del creato di Papa Francesco. In seguito a una lettera pastorale scritta dallo stesso arcivescovo, l’arcidiocesi ha deciso di impegnarsi in tre ambiti: difesa del diritto alla terra, soprattutto nei confronti della grandi piantagioni; avvio di un progetto di abitazioni per famiglie povere; sensibilizzazione nei confronti dell’opinione pubblica circa il progetto di coltivazione di palma da olio Sigite Makus Palm Oil Project nel distretto di West Pomio.

Per rendere concreto questo impegno, l’arcidiocesi ha deciso di avvalersi della collaborazione di un missionario laico proveniente dalla Nuova Zelanda, il dottor Douglas Tennent, esperto in diritto e già docente di legge all’Università della Papua Nuova Guinea. Monsignor Panfilo sottolinea che Tennent è arrivato a Rabaul con un permesso di ingresso in Papua per “lavoro in ente religioso” (Special Exemption/Religious Worker), mettendosi a disposizione dell’arcidiocesi come volontario, senza percepire stipendio. “Chi vive a Vunapope (dove opera il dottor Tennent) sa che lavora 15 ore al giorno, sette giorni su sette, cercando di risolvere i molti problemi legati alla terra che ancora abbiamo”, afferma l’arcivescovo.

Qualche giorno fa, il dottor Tennent si è visto recapitare da due funzionari dell’ufficio di immigrazione e cittadinanza del governo un’ingiunzione a lasciare immediatamente il Paese e la revoca del permesso di ingresso in Papua Nuova Guinea. Il documento riporta la seguente frase: “Se non dovesse adempiere a quanto richiesto, lei sarà arrestato e accompagnato contro la sua volontà fuori dal Paese”. L’arcivescovo sottolinea che non c’è stato alcun preavviso e nessuna possibilità di appello dall’arrivo della notifica, con ingiunzione a lasciare il Paese entro tre giorni.

Quale crimine Tennent ha commesso? Il documento di espulsione lo indica: “La cancellazione del visto di ingresso da parte del ministero è dovuta all’abuso delle condizioni del suo permesso essendosi coinvolto in questioni sensibili legate al diritto alla terra nella Provincia della Nuova Britannia Orientale”.

L’arcivescovo chiarisce che il dottor Tennent non ha agito di sua iniziativa. Per quanto riguarda i primi due progetti della diocesi, per il diritto alla terra e le case per i più poveri, il missionario laico ha agito su mandato del consiglio economico e del board per la terra dell’arcidiocesi. E per quanto riguarda la sensibilizzazione circa il mega progetto di coltivazione di palma da olio in West Pomio, il Sigite Makus Palm Oil Project, ha fornito consulenza legale all’arcivescovo, che aveva a sua volta ricevuto un appello dalle comunità locali a parlare a nome loro circa tale questione.

“Essendo chiaro che circa l’impegno per il diritto alla terra e l’advocacy per la popolazione di West Pomio, la responsabilità ultima è dell’arcivescovo, se c’è bisogno di deportare qualcuno per quello che stiamo facendo, costui è proprio l’arcivescovo” afferma monsignor Panfilo.

“È triste constatare che persone che lavorano duramente, interamente dedicate al servizio delle persone in Papua Nuova Guinea vengono trattate in questo modo” continua l’arcivescovo. “È il segno che il livello di corruzione raggiunto dal governo è senza rimedio?” Panfilo conclude così: “Preghiamo che le prossime elezioni nazionali possano darci leaders impegnati per il raggiungimento di una società giusta e pacifica”.

Negli ultimi anni la Papua Nuova Guinea ha aperto la strada a investimenti stranieri per rendere aree forestali di uso produttivo per fini agricoli, con enormi conseguenze di natura sociale e ambientale. L’opportunità di sfruttamento della terra e delle risorse ad essa collegate ha sostenuto un vero “accaparramento di terre” (land grabbing) facendo in pochi anni della Papua Nuova Guinea il maggiore Paese ricevente investimenti destinati a grandi acquisizioni di latifondi (circa 5 milioni di ettari), trasformati in piantagioni attraverso una massiccia deforestazione.