Il parroco ha dato di matto: il giornalista francese Jean Mercier racconta la storia di un prete che decide di «mollare»

«Uno non sa veramente cosa vuol dire amare, finché non ha dovuto amare delle persone difficili, o anche assai difficili, se non addirittura impossibili da amare».
Questa frase di Jean Vanier, il fondatore dell’Arca, comunità in cui si affrontano i problemi della disabilità psichica grave, appare in un racconto, «Il signor parroco ha dato di matto» (San Paolo, 141 pagine) di Jean Mercier, giornalista francese esperto di questioni religiose per il settimanale “La Vie”. Quelle parole danno il senso di tutto il romanzo, che racconta le problematiche che attendono, non solo in Francia, un prete non più giovane ma neanche vecchio, che ha fatto quindi in tempo a sentire gli effetti del Concilio Vaticano II e della contestazione. Don Beniamino è quindi vaccinato contro gli eccessi parolai dei suoi collaboratori laici che vorrebbero programmare, svecchiare, rivoluzionare, soprattutto nel linguaggio, la vita della parrocchia. Deve mediare l’impossibile: il vescovo gli vuole bene ma deve tener conto di tutti, compresi i bastian contrari, i rivoluzionari che vedono solo le cose da buttare, i reazionari che invece scorgono complotti islamisti dovunque, le collaboratrici votate alla perfezione su questa terra, che non sbagliano mai, e quelle che hanno invece passati terribili alle spalle e non ce la fanno ad accettarsi.
Con una narrazione asciutta, piacevole, e con i sottintesi di chi la vita di parrocchia la conosce bene, guida il lettore nella storia di una fuga. Sì, perché il parroco decide di mollare e sparisce senza lasciare tracce apparenti, ma assai visibili a chi ha occhi per vedere e orecchie per intendere. Sarà la sua assenza a favorire guarigioni nei rapporti umani e dentro l’anima delle persone, a fare capire come non ci si possa fissare su una propria idea pensando che quelle degli altri siano sempre e comunque sbagliate. E soprattutto a guarire lui stesso dalla disperazione e dal dubbio di aver sbagliato tutto. E a fargli comprendere il miracolo dell’ascolto e della comprensione.
I colpi di scena si susseguono, soprattutto nella seconda parte del racconto, che risente non solo dell’immancabile don Camillo di Guareschi, ma anche di alcune atmosfere (soprattutto la crisi spirituale del sacerdote) di Bernanos. Non manca il motivo della provvidenza divina che passa attraverso la prova e la dura realtà dei fatti, reso celebre da Manzoni ma che ha una storia molto più antica. Anche quello della reclusione volontaria in città, per dedicarsi solo alla preghiera e alla contemplazione, è un dato storico che viene dal medioevo ma che ha trovato una concretizzazione narrativa in un romanzo di Pietro Giordani che pochi ricordano, “La città murata” (1936). Tradizione non vuol dire imbarazzanti paragoni né sospetti di plagio: se mai coraggiosa volontà di riprendere strade che sembravano perdute per sempre.Marco Testi