Rompiamo il silenzio sull’Africa. Il grido di padre Zanotelli, l’analisi di Romano Prodi

Foto: Padre Alex Zanotelli

Testimoniare la tenerezza di Dio

Dai “sotterranei della storia” di Korogocho al rione popolare La Sanità di Napoli. Per testimoniare, nell’opulento nord come nel depredato sud del mondo, la tenerezza di Dio che ha il volto della condivisione e dell’accoglienza. È questa la scelta (“ma non la definitiva”, mi ha detto l’ultima volta che ci siamo incontrati) fatta anni fa da padre Alex Zanotelli, una delle figure più carismatiche del cattolicesimo italiano.

Chi è Alex Zanotelli

Missionario comboniano, dopo aver completato gli studi di teologia a Cincinnati (Usa) è partito per il Sudan. Dopo otto anni viene allontanato dal governo a causa della sua solidarietà con il popolo Nuba e della coraggiosa testimonianza cristiana. Assume la direzione della rivista Nigrizia nel 1978 e contribuisce a renderla sempre più un mensile di informazione, nel solco di una tradizione avviata nel 1883 e consolidatasi a partire dagli anni Cinquanta.

Il suo programma di lavoro è ben chiaro fin dall’inizio: “Essere al servizio dell’Africa, in particolare ‘voce dei senza voce’, per una critica radicale al sistema politico-economico del nord del mondo che crea al Sud sempre nuova miseria e distrugge i valori africani più belli, autentici e profondi”.

Per quasi dieci anni, Zanotelli ha saputo prendere posizioni precise e imporsi all’opinione pubblica italiana, affrontando i temi del commercio delle armi, della cooperazione allo sviluppo affaristica e lottizzata, dell’apartheid sudafricano.

È stato anche tra i fondatori del movimento “Beati i costruttori di pace“, con cui ha condotto molte battaglie in nome della cultura della mondialità e per i diritti dei popoli. Nel 1987 – su richiesta di esponenti politici e vaticani – padre Alex lascia la direzione di Nigrizia: ma la sua eredità culturale, raccolta dai successivi direttori e redattori, continua a manifestarsi anche oggi.

Dopo aver svolto per dodici anni il lavoro missionario a Korogocho, una delle baraccopoli che attorniano Nairobi, la capitale del Kenya, torna in Italia scegliendo di vivere inserito in un quartiere popolare di Napoli e si impegna nell’animazione di gruppi, comunità e associazioni in tutta Italia.

L’appello di padre Alex

Per la forza di una vita spesa a servizio del Vangelo riconosciuto nel volto dei poveri, mi ha molto colpito l’appassionato appello che il vecchio e indomito missionario (compirà i 79 anni il prossimo mese di agosto) ha lanciato nei giorni scorsi nei confronti del continente africano.

Mi appello a voi giornalisti/e perché abbiate il coraggio di rompere l’omertà del silenzio mediatico che grava soprattutto sull’Africa (sono poche purtroppo le eccezioni in questo campo!).

È inaccettabile per me il silenzio sulla drammatica situazione nel Sud Sudan (il più giovane stato dell’Africa), ingarbugliato in una paurosa guerra civile che ha già causato almeno trecentomila morti e milioni di persone in fuga. È inaccettabile il silenzio sul Sudan, retto da un regime dittatoriale in guerra contro il popolo sui monti del Kordofan, i Nuba, il popolo martire dell’Africa e contro le etnie del Darfur.

È inaccettabile il silenzio sulla Somalia in guerra civile da oltre trent’anni con milioni di rifugiati interni ed esterni.

È inaccettabile il silenzio sull’Eritrea, retta da uno dei regimi più oppressivi al mondo, con centinaia di migliaia di giovani in fuga verso l’Europa.

È inaccettabile il silenzio sul Centrafrica che continua ad essere dilaniato da una guerra civile che non sembra finire mai.

È inaccettabile il silenzio sulla grave situazione della zona saheliana dal Ciad al Mali dove i potenti gruppi jihadisti potrebbero costituirsi in un nuovo Califfato dell’Africa nera.

È inaccettabile il silenzio sulla situazione caotica in Libia dov’è in atto uno scontro di tutti contro tutti, causato da quella nostra maledetta guerra contro Gheddafi.

È inaccettabile il silenzio su quanto avviene nel cuore dell’Africa, soprattutto in Congo, da dove arrivano i nostri minerali più preziosi.

È inaccettabile il silenzio su trenta milioni di persone a rischio fame in Etiopia, Somalia, Sud Sudan, nord del Kenya e attorno al Lago Ciad, la peggior crisi alimentare degli ultimi 50 anni secondo l’Onu.

È inaccettabile il silenzio sui cambiamenti climatici in Africa che rischia a fine secolo di avere tre quarti del suo territorio non abitabile.

È inaccettabile il silenzio sulla vendita italiana di armi pesanti e leggere a questi paesi che non fanno che incrementare guerre sempre più feroci da cui sono costretti a fuggire milioni di profughi (lo scorso anno l’Italia ha esportato armi per un valore di 14 miliardi di euro!!).

Non conoscendo tutto questo è chiaro che il popolo italiano non può capire perché così tanta gente stia fuggendo dalle loro terre rischiando la propria vita per arrivare da noi. Questo crea la paranoia dell’ “invasione”, furbescamente alimentata anche da partiti xenofobi.

L’analisi di Romano Prodi

Più o meno negli stessi giorni Romano Prodi ha pubblicato sul Messaggero un articolo dal titolo: “Senza un progetto per l’Africa tragedia inevitabile”. Un intervento ragionato attorno al tema dell’immigrazione. L’ex Commissario Onu per il continente africano distingue l’emergenza di oggi dai problemi di un lungo futuro. L’emergenza si chiama Libia e, purtroppo, sostiene Prodi, tale emergenza si può gestire solo con la pace in questa nazione e con un’azione europea solidale. Entrambe sono ben lontane non solo dall’essere raggiunte ma anche dall’essere avvicinate. Ma quello che più interessa allo statista italiano sono i problemi a lungo termine. Che scrive:

In questi giorni è stato messo in evidenza da tutti i media il fatto che l’Africa subsahariana aumenterà di oltre un miliardo di abitanti in poco più di una generazione, mentre l’Europa ne perderà parecchie decine di milioni. Al problema dell’immigrazione si deve perciò aggiungere la necessità di preparare un grande progetto di sviluppo per l’intero continente africano: è chiaro infatti che non siamo in ogni caso in grado di gestire le centinaia di milioni di potenziali immigranti.

L’attuale modello degli aiuti non riesce a rispondere allo scopo: da un lato il generoso intervento di molte associazioni o di privati cittadini allevia tante sofferenze ma non è certo in grado di creare le condizioni che hanno permesso ai paesi asiatici di percorrere la via dello sviluppo. Dall’altro lato abbiamo gli aiuti ai governi che non solo sono scarsi per dimensione ma sempre più spesso arrivano nelle mani di politici e burocrati corrotti o inefficienti. Per aiutare i cittadini africani in casa loro bisogna perciò cambiare marcia sia dal punto di vista della quantità che della qualità della nostra politica.

I disperati della storia nessuno li fermerà

Una consonanza profonda tra questa analisi e l’appello di padre Alex. Entrambi lucidi – nel persistere della miopia attuale – a prefigurare scenari che ci dovrebbero preoccupare. “Stiamo andando in modo incosciente di fronte ad una tragedia che inevitabilmente renderà più insicuro e drammatico il futuro del nostro continente”, scrive l’ex Presidente del Consiglio. Mentre padre Alex termina con un giudizio che ha della profezia, se è vero che, come dichiarato nei giorni scorsi, l’Onu si aspetta già entro il 2050 circa cinquanta milioni di profughi climatici solo dall’Africa: “I disperati della storia nessuno li fermerà”. Aggiungendo un affondo provocatorio: “Davanti a tutto questo non possiamo rimane in silenzio (i nostri nipoti non diranno forse quello che noi oggi diciamo dei nazisti?). Non possiamo rimanere in silenzio davanti a un’altra Shoah che si sta svolgendo sotto i nostri occhi».

Con un impegno gridato da entrambi: “Diamoci tutti/e da fare perché si rompa questo maledetto silenzio sull’Africa”.