Luigi, dalle notti in auto alla conquista del lavoro dei sogni come “junior chef” e di una casa vera

Lavorando in un servizio bassa soglia, è prevedibile e frequente che le persone che incontro il più delle volte portino segni di fatica dalla strada e compromissione. Ma non sempre è così.
Luigi si presenta al Cpa diocesano lo scorso settembre. 30 anni, di origini rumene ma residente regolarmente in un paese della provincia bergamasca. Lo guardo, potrebbe essere un mio coetaneo. Zainetto in spalla, molto ordinato. Mi racconta di essere in Italia da più di 10 anni, arrivato con il padre. Parla un italiano perfetto, vestito in modo semplice ma dignitoso. Con un umiltà disarmante mi spiega di aver bisogno di aiuto perché, dopo la perdita del lavoro e dell’appartamento, sta dormendo in auto. Ora l’estate volge al termine e inizia a diventare dura. Il datore di lavoro presso cui è stato assunto è stato inadempiente con un contratto regolare e con regolari pagamenti. Se manca uno stipendio manca l’affitto e tutto va a rotoli. Luigi nega qualsiasi forma di dipendenza da sostanze, ha una storia lavorativa concreta, un buon curriculum. Spiega la sua storia senza autocommiserazione, chiede aiuto senza pretese. Tento un aggancio con i servizi sociali del suo territorio, Luigi è giovane, non ha dipendenze. Non è adatto ad un dormitorio bassa soglia. Si potrebbe tentare di aiutarlo a ricominciare con un sostegno leggero. Parla correttamente tre lingue, e porta negli ascolti uno spirito di adattamento unico.
Il tentativo con il comune di residenza non funziona. Lo inserisco, mio malgrado, al dormitorio Galgario (dormitorio di bassa soglia gestito dalla Caritas ). Luigi viene inserito ai primi di ottobre.
Continua costantemente una ricerca di lavoro. Consegna curriculum porta a porta, online….ovunque. Continuano gli ascolti, non per orientarlo ma per affiancarlo e motivarlo in questo faticoso sentiero in salita. La vetta è lontana. Di fatto, Luigi è solo a Bergamo, non ha una famiglia vicina con cui condividere i suoi sforzi. La famiglia è lontana, sa e non sa della sua situazione. Ci sarebbero preoccupazioni in più, mi dice. A volte è quello che manca alle persone, uno spazio dove qualcuno può dire che è tutto ok, oppure che no, così non va. Insomma, un posto dove a qualcuno importa di te.
Prima di Natale, visto il buon andamento propongo il trasferimento di Luigi al dormitorio Zarepta, piccolo dormitorio gestito dalla Caritas, dove vengono accolte persone con un progetto educativo di reinserimento sociale. I rimandi sono positivi, mai un lamento, mai una critica. Luigi è fortunato nella sua fatica. È intelligente, motivato, capace. Non tutti hanno “uno zaino” così ben fornito. Ed è per questo che inizio a sperare che ce la faccia, come lo spero per tutte le persone che incontro. Ma Luigi davvero, potrei essere io. E questa affinità mi disarma, perché comprendo la linea sottile tra avere e non avere, tra benessere e precarietà, tra famiglia e solitudine. Tutto e niente.
Luigi sporge denuncia al datore di lavoro, si apre una vertenza sindacale. La ricerca di lavoro inizia a sortire i primi effetti. Inizia a fare delle prove in alcuni ristoranti della zona.
A febbraio un’importante catena di ristorazione apre nuovi locali. La selezione è spietata, visto l’alto livello dei locali e lo standard della cucina. Luigi decide di provarci. “ io voglio tentare, ce la posso fare”. Passa la prima selezione, passa la seconda. E alla fine arriva, si abbandona sulla sedia e mi dice di avercela fatta. Su 200 candidati ne assumono 8, tra cui lui. Un mese di stage intensivo e poi contratto. Full time, junior chef.
Inizio a cercare a un’accoglienza sul territorio più conforme alla sua situazione. Senza l’appoggio di comuni, servizi sociali o altro. C’è solo lui e il suo traguardo.
Lo segnalo ad un progetto di coabitazione tra giovani, dove negli appartamenti vivono utenti e ragazzi che scelgono di condividere la casa per un anno. La responsabile ci incontra. E decide di accogliere Luigi per accompagnarlo verso una totale autonomia.
A maggio l’ingresso in casa. Una casa vera, condivisa ma vera, con la spesa e le cene insieme, con una famiglia “particolare”. Ma almeno una casa, dove a qualcuno importa di te e a te importa degli altri.
Il ristorante lo ha assunto a tempo indeterminato, con possibilità di carriera ed esperienza nei locali di mezza Europa.
Questa è una storia a lieto fine. Per Luigi e per me che l’ho conosciuto. Lui ha raggiunto la vetta ( o una delle tante cime che la vita ci riserva). Io ho imparato a ricordarmi di quel “poteri essere io” ogni giorno. Perché quel “potrei essere io” mia ha dato una dimensione di prossimità giusta, equa e di rispetto. Tiene la giusta distanza, alimenta la relazione tra le persone, lascia spazio alla speranza.
Perché, se a qualcuno importa di te, sei già a metà strada.