La crisi politica e sociale. I grandi pensanti indecisi a tutto. E i piccoli pagano

Il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni

Una paura incomincia a serpeggiare tra i potentati economici e gli opinionisti dei loro giornali e media: che l’Italia si presenti debole sul piano europeo e globale nella difesa dei loro interessi.

La debolezza del sistema politico

Questa debolezza è economica, perché è politica: il nostro sistema politico non è in grado di prendere decisioni. Il potere non si trova più da nessuna parte, essendosi frammentato in coriandoli che solo la microfisica foucaultiana potrebbe descrivere.

Questa è, da ultimo, la denuncia di Ernesto Galli della Loggia. Le prospettive post-elettorali del 2018 si presentano fosche: mentre la ripresa economica è stata agganciata, i risultati elettorali fino ad ora prevedibili, stante la legge elettorale vigente, promettono l’impossibilità di formare un governo solido in tempi rapidi. Anzi: è certo un governo debole e in tempi lunghi o, persino, un inevitabile il ricorso a nuove non risolutive elezioni. Spagna docet.

Quelli del NO è la paura del governo forte

Far rimarcare, a coloro che oggi temono il governo debole, la contraddizione con la campagna di allarme dell’opinione pubblica da essi condotta contro i pericoli neo-autoritari del governo “forte, fino a convincerla a votare NO al referendum del 4 dicembre 2017, è ormai solo una perdita di tempo. Risposero e continuano a rispondere che il progetto di riforma costituzionale ed elettorale era confuso e divisivo.

Perché le élites hanno votato no

E’ perciò più utile interrogarsi sull’intreccio di ideologia e di interessi che ha portato gran parte della classe dirigente politica e intellettuale del Paese, dai direttori di giornali e TV, a molti docenti costituzionalisti e giuristi a bocciare vittoriosamente le riforme istituzionali e la legge elettorale Italicum. Già, quale ideologia? Si può sintetizzare con lo stenogramma lessicale di “ideologia consociativa”.

Si tratta di una cultura profonda, antropologia e teoria: è un costume mentale, uno schema metafisico occulto. Il suo mito critico-negativo, il suo terrore è quello del “Paese diviso”. Questo criterio di giudizio viene applicato non solo all’Italia, ma a tutti i Paesi europei, quando si tratti di analizzare i risultati elettorali di Usa, Gran Bretagna, Francia, Germania, Spagna…

Ciò che è normale al di là delle Alpi è eversivo al di qua

Che la società moderna sia complessa, divisa e frammentata è un fatto. Non è la società organica della Grande armonia. Ma il tentativo di semplificare le frammentazioni in due grandi blocchi, maggioranza e opposizione – ed è ciò che fanno tutte le democrazie liberali per governare gli Stati – è bollato come divisivo. Ancor più traumaticamente divisivo far eleggere il capo dello Stato e del governo dai cittadini: in questo caso non si spacca solo il Parlamento, ma il corpo elettorale.

Ciò che lo schema istituzionale delle democrazie moderne europee propone come configurazione normale ai fini della rappresentanza e del governo del Paese è considerato eversivo dai nostri ideologi della consociazione. Divisivo e plebiscitario. L’ideologia consociativa – altra cosa sono le grandi coalizioni – è una cultura istituzionale illiberale. Come tutte le ideologie, anche quella consociativa è feroce e… divisiva: chiunque vi si opponga è considerato estraneo al consorzio politico. Niente di meno. Questa cultura ha alimentato l’anticraxismo spietato di un’intera generazione politica – da Enrico Berlinguer a D’Alema – l’antiberlusconismo militante del 99% della sinistra, l’antirenzismo livoroso di questi tempi: l’ideologia presa sul serio tende alla guerra civile.

Lo spauracchio del pericolo fascista o autoritario

Come tutte le ideologie, il consociazionismo non è un complotto; riflette – in modo capovolto, direbbe Marx – storie e interessi. La storia è quella dell’Italia del ‘900: del liberalismo di élite del primo ’900, del fascismo, della Resistenza e della guerra civile, dell’accordo costituzionale appoggiato su due grandi culture, cattolica e comunista, cresciute su un terreno ideologico a-liberale o antiliberale. Storia alle nostre spalle, cui ci si richiama a mo’ di alibi giustificativo: c’è sempre un pericolo fascista o autoritario che incombe. Passata, ma che ha lasciato tracce profonde e indelebili nello spirito pubblico e nella cultura in classi dirigenti politiche e intellettuali conservatrici.

Il blocco delle potenze sociali

Di più: le istituzioni e il sistema politico che ne sono derivati hanno favorito la crescita di una trama corporativa delle potenze sociali, che ha retroagito, rafforzandolo, sul sistema ideologico e su quello politico; quest’ultimo tanto capace di rappresentare quanto scientemente restio a governare, a tagliare i troppi nodi di Gordio, a spezzare i rapporti di forza consolidati e la catena dei privilegi costituitasi nella società italiana. Poteri economici, intellettuali, mass- media, opinion leader sono avvolti dentro questa ragnatela di rassegnata impotenza, in cui ciascuno persegue il proprio particulare. Cultura profonda e interessi socio-economici si tengono.

Tutti sono rappresentati e nessuno decide

Così la democrazia che ne è sorta è quel sistema dove tutti sono rappresentati e nessuno decide, ciascuno paralizzando l’altro. Tutto è parso funzionare, finché l’Italia era una democrazia protetta, senza grandi responsabilità globali. Purtroppo, nel disordine mondiale attuale “ciascuno è solo sul cuor della terra”. Servirebbe un salto intellettuale su un orbita più larga. Viceversa, le nostre élites hanno lo sguardo rivolto all’indietro e al sistema delle convenienze personali e delle carriere ben retribuite nel presente del “qui e ora”. In parole povere: a loro sta bene così. Tout se tient!

I i deboli pagano. Come sempre

Fino a quando? Domanda legittima. Perché a pagare il prezzo più alto dell’indecisionismo corporativo sono le categorie più deboli e più numerose: quelle dei giovani, delle donne, dei ricercatori nelle Università, degli immigrati di seconda e terza generazione. In realtà, paga il sistema-Paese. L’insorgenza populista è nata da questa faglia che divide le classi dirigenti conservatrici dalle nuove intelligenze produttive, che tentano faticosamente di aprirsi la strada verso il futuro. Finita l’epoca dell’ascesa verticale del debito pubblico, a spese delle generazioni future, che intanto sono scivolate nel presente, ci sarebbe da meravigliarsi se, divenuta l’impotenza politica sempre più insopportabile, si gonfiasse una domanda arrabbiata e confusa – non necessariamente liberal-democratica – di uomo forte, carismatico, decidente? Intanto si deve solo constatare l’ignavia intellettuale dei “cattivi maestri”, che ogni giorno dai “grandi” giornali difendono accanitamente lo stato di cose presente. Stanno istigando il Paese al suicidio.