Neet, i giovani che non lavorano e non studiano: a Bergamo sono il 17%. Più infelici e insicuri dei loro coetanei

Non studiano, non lavorano, ma sono anche molto più infelici e insicuri dei loro coetanei: è questa la condizione dei cosiddetti Neet, i giovani tra i 15 e i 29 anni di età, non occupati e non inseriti nel mondo dell’istruzione e della formazione (traduzione in italiano dell’acronimo “not in employment, education or training”). Nonostante il fenomeno interessi anche i nostri territori, i Neet sono diminuiti sensibilmente nella provincia di Bergamo nel corso del 2016: dopo essersi portati stabilmente al di sopra delle 30mila unità tra il 2012 e il 2015, nell’ultimo anno, secondo rielaborazioni camerali dall’indagine sulle Forze Lavoro di Istat, sarebbero scesi intorno alle 28mila persone. Rapportato alla popolazione residente della stessa classe di età (167mila giovani tra i 15 e i 29 anni), il tasso dei Neet è a Bergamo al 17%, contro il 24,3% medio dell’Italia, il valore più alto tra tutti i paesi dell’Unione Europea, dove in media il tasso di Neet è al 14,2%. E anche i nuovi dati del Rapporto Giovani, l’indagine curata dall’Istituto Toniolo in collaborazione con Ipsos, confermano la preoccupante condizione di questa fascia di giovani anche in relazione ai loro coetanei. L’indagine è stata svolta ad ottobre 2016 su un campione rappresentativo di 5200 giovani tra i 18 e i 34 anni e mostra come, nella fascia considerata, meno del 20% dei Neet non stia cercando lavoro (14,5 tra i maschi e 23,3% tra le femmine), mentre oltre l’80% è interessato ad una occupazione anche se la cerca con vario impegno e convinzione. Tra i Neet che non cercano lavoro, oltre la metà degli uomini (53,7%) e quasi un terzo delle donne (31,9%) dichiara che se gli venisse offerto un impiego lo accetterebbe subito: solo una parte molto marginale non cerca lavoro e non è interessata (il 13,9% degli uomini e l’8,15% delle donne). Da segnalare che la maggioranza delle donne che non cercano lavoro non risulta né disinteressata né pronta ad accettarlo immediatamente nel caso le venisse offerto (60%). Pesa infatti all’interno delle Neet che non cercano lavoro la componente di donne che ha impegni familiari e che rimangono fuori dal mercato del lavoro per difficoltà di conciliazione tra lavoro e famiglia. Alla domanda, tra chi non cerca, quanto siano importanti varie condizioni nella disponibilità di accettare subito un lavoro, per le donne Neet prevale la conciliazione, la distanza da casa e in parte la remunerazione (che deve compensare i costi dei servizi per l’infanzia e altri servizi di cura a pagamento). I Neet maschi sono quelli invece che si adattano di più, avendo più esigenza di lavorare e meno vincoli di impegni familiari. Questo evidenzia come chi studia possieda aspettative elevate di valorizzazione, mentre la condizione di adattamento al ribasso sia molto forte tra i Neet, in particolare tra quelli così scoraggiati da non cercare più attivamente lavoro. Rinunciano però più a lavorare in una azienda di prestigio e a veder valorizzata la propria formazione che alla remunerazione, che quando molto bassa blocca la possibilità di uscire dalla casa dei genitori e costruire propri percorso di autonomia. Non a caso i Neet sono anche quelli che si trovano maggiormente con percorso bloccato nelle scelte di transizione alla vita adulta. Fanno parte della categoria che maggiormente rischia, all’aumentare dell’età, di invecchiare senza fare passi rilevanti nella realizzazione dei propri progetti, non solo occupazionali ma anche di vita. “A mantenere elevato il numero di Neet in Italia – ha sottolineato Alessandro Rosina, Demografo dell’Università Cattolica e coordinatore dell’Indagine Rapporto giovani – contribuiscono, in misura maggiore che negli altri paesi avanzati, i giovani con carenti competenze e in condizione di disagio sociale, a rischio di marginalizzazione permanente, ma anche neodiplomati e neolaureati con buone potenzialità ma con tempi lunghi di collocazione nel mercato del lavoro per le difficoltà di valorizzazione del capitale umano nel sistema produttivo italiano. “Per ridurre il numero di Neet – aggiunge Rosina – bisogna agire sia sullo stock, ovvero su chi si trova già da tempo in tale condizione e fatica ad uscirne, sia sul flusso, ovvero su chi sta finendo gli studi e si appresta ad entrare nel mercato del lavoro. Va inoltre stimolata e rafforzata la capacità di intraprendenza e di imprenditorialità dei giovani”.