Populismo, anti Vax, antiparlamentarismo figli di una cultura che non c’è e di una scuola che non educa

L’attentato alle Twin Towers dell’11 settembre del 20o1. La Storia insegnata a scuola non aiuta a capire i grandi eventi del presente

C’è un nesso causale tra il cattivo funzionamento del sistema educativo del Paese e una cultura civica, caratterizzata da atteggiamenti mentali populisti, giustizialisti, antiparlamentaristi? All’esistenza di un tale nesso hanno ripetutamente accennato Ernesto Galli della Loggia e Angelo Panebianco nei loro recenti interventi. In particolare, viene segnalato il deficit di filtri critici rispetto alle fakenews, all’antiscientismo diffuso, da cui il movimento No-vax.

Il civismo degli italiani che non c’è

Tutte le ricerche sociologiche dagli anni ’50 fino all’inizio degli anni 2000 hanno constatato una correlazione tra bassi livelli di istruzione e “lontananza” dei cittadini dalle istituzioni e dalla politica. I cittadini “lontani” –  secondo una famosa ricerca comparativa su cinque Paesi, tra cui l’Italia, intitolata The Civic Culture: Political Attitudes and Democracy in Five Nations, di G. A. Almond e S. Verba,1963 – sono quelli che non hanno fiducia né nelle istituzioni né nella propria capacità di influenzarle.

Il civismo non è mai stato un tratto emergente degli Italiani. Tuttavia, le ricerche recenti sulla composizione socio-culturale degli elettori di area populista – principalmente quella del M5S – documentano che, nonostante l’aumento del numero di diplomati e laureati, la “lontananza” non si è accorciata. Significa, dunque, che la correlazione tra sistema educativo e formazione della cittadinanza è puramente immaginaria?

L’educazione alle relazioni che non c’è

Se scaviamo sotto la superficie dei titoli di studio, il fallimento del sistema educativo nella formazione della cittadinanza critica e consapevole appare drammatico. Lo è non soltanto sul lato intellettuale – l’istruzione – ma soprattutto su quello dell’educazione, cioè della costruzione morale del carattere e della pratica delle relazioni con gli altri.

Utilizziamo quale filtro per il giudizio il catalogo delle quattro competenze-chiave: Lingua e Linguaggi, Storia, Matematica, Scienze – le competenze di cittadinanza!. Perlustriamo questi quattro terreni con l’ausilio dei Rapporti annuali dell’Invalsi, dei Rapporti biennali dell’OCSE, dei resoconti dell’andamento degli esami di maturità, dell’osservazione empirica che ciascuno di noi può fare. Il quadro si presenta desolante.

La Storia che ignora il presente

Partiamo dall’insegnamento della Storia. No, il presente non è Storia, e l’insegnamento resta largamente all’indietro delle soglie del presente. L’arrivo alla Resistenza è generalmente il massimo traguardo raggiunto. Dopo il ‘45, i ragazzi si muovono senza mappe. Non dispongono di nessun strumento per comprendere il presente, per leggere la società e interpretare i messaggi della politica, per decifrare media e social-media.

D’altronde, il metodo di insegnamento/apprendimento è definito da programmi centrali enormi, burocraticamente invasivi – la cui conoscenza deve essere necessariamente accertata in prescrittivi esami di maturità – per definizione non completabili. Così l’insegnamento della Storia è spaccato in storia politica, storia letteraria, storia filosofica, storia dell’arte… difficilmente riconducibili a unità. La sua disarticolazione è strutturale, perché deriva dalla parcellizzazione tayloristica dell’organizzazione del lavoro didattico e, perciò, di apprendimento. L’affidamento a titolari di cattedre diverse della Storia ne sottoproduce l’alienazione.

I  ragazzi che vivono nel presente “a loro insaputa”

Pertanto i nostri ragazzi vivono nel ‘900 e nel nuovo millennio “a loro insaputa”. Non hanno strumenti per comprendere gli eventi del nostro tempo: il caos della geopolitica, la questione islamica, il terrorismo, la catastrofe africana, il declino del Cristianesimo in Europa, la vicenda politica italiana… Poiché la politica è determinata da tali eventi, che hanno cause lontane e vicine, i nostri giovani elettori non sono in grado comprenderla. Le loro scelte diventano reazioni immediate all’immediato, non hanno spessore e coscienza profonda. Il mondo viene loro incontro come caos insensato, cui si reagisce con il sentimento e il risentimento, allorché si scopra che non è controllabile, dominabile, governabile.

Il risentimento che è figlio della disinformazione

Al risentimento Max Scheler dedicò nel lontano 1912 il saggio “Il risentimento nell’edificazioni delle morali”, nel quale individuò le cause del risentimento esattamente nello scarto tra l’oggetto dato e l’oggetto percepito. Più lo iato si allarga, più risentimento si accumula.

E qui scivoliamo inevitabilmente sul lato educativo e morale: dal “sapere il mondo” al “saper stare nel mondo”, dall’appercezione intellettuale alla pratica sociale. L’organizzazione parcellizzata della trasmissione del sapere di civiltà produce dunque gli effetti appena descritti sul piano intellettuale.

Essa impedisce, come conseguenza, il costituirsi della scuola quale “comunità professionale educante”, quale luogo di verifica di ciò che si pensa e si vive insieme agli altri. La scuola che è “introduzione alla realtà totale”, come ebbe a raccomandare don Luigi Giussani, riutilizzando in sede pedagogica l’espressione di J. A. Jungmann, teologo gesuita austriaco, rappresentante della teologia kerygmatica. In siffatta scuola, i ragazzi sono soli, non entrano in rapporto con gli adulti, che a loro volta ben si guardano di entrare in relazione educativa con i loro alunni.

La scuola che non educa

Questa impossibilità di educare è stata teorizzata da opposti versanti: da quello “laico” – io devo istruire, non educare – e da quello cristiano-integralista – lo Stato non deve educare!

Secondo quest’ultima versione, solo una scuola non-statale e ideologicamente orientata riesce a educare. Se lo fa la scuola di stato, l’educazione diviene totalitaria.

In realtà, la comunità educante è al suo interno inevitabilmente plurale, come è la società  e la vita. Ma il costituirsi di una comunità educante è la pre-condizione per quel processo di auto-educazione assistita e di responsabilizzazione, che aiuta ciascun ragazzo a costruire un rapporto realistico con il mondo.

Se, dal punto di vista intellettuale, la scuola deve fornire i filtri critici per distinguere i fatti dalle interpretazioni, dal punto di vista morale la scuola educante può tentare di arginare l’ideologia e il costume morale della soggettività onnipotente, che si crede libera da ogni dipendenza dal mondo, perché, sulla base del principio nietzscheano, “non esistono fatti, ma solo interpretazioni”. Si tratta di un principio epistemologico e morale: quello dell’iperpotenza dell’Io.

Viceversa, educare la mente e il cuore al principio di realtà: ecco ciò che il nostro sistema educativo non fa. Di qui le conseguenze socio-culturali e politiche ricordate all’inizio. Un esame dello stato di acquisizione delle altre tre competenze-chiave porterebbe ad aggravare le conclusioni già tratte a proposito della Storia. La formazione dello spirito pubblico incomincia dal sistema educativo nazionale. Se questo è cattivo, lo spirito pubblico è cattivo.