Le virtù cardinali parlano all’uomo di oggi. La temperanza, una guida per rispettare se stessi e gli altri

“Le virtù cardinali” (Editori Laterza 2017, pp. 82, 12 euro) ovvero Prudenza, Temperanza, Fortezza e Giustizia. Quattro filosofi protagonisti del nostro tempo, Remo Bidei, Giulio Giorello, Salvatore Veca e Michela Marzano riflettono sulla natura delle virtù cardinali denominate anche virtù umane principali, le quali nella religione cattolica riguardano l’animo umano (a differenza delle virtù teologali, che invece riguardano Dio) e costituiscono i pilastri di una vita dedicata al bene. Un tema quello della virtù che giunge fino a noi attraverso la storia della filosofia (pensiamo a Platone) e del pensiero cristiano, della letteratura, delle scienze umane.

Giorello, nato a Milano nel 1945, filosofo, matematico ed epistemologo tra i più autorevoli in Italia si occupa della Temperanza «meravigliosa virtù», la quale «sta a fondamento del vivere civile e su cui hanno riflettuto, nel corso dei secoli, le discipline più varie».

Professor Giorello le quattro virtù cardinali possono essere considerate come pilastri dell’animo umano? 

«Persino la figura di copertina del volume del testo presenta esattamente le quattro virtù come quattro pilastri, come quattro colonne. Ora, io non so se questo valga per tutte le culture disseminate nel Pianeta, però mi pare che abbiano avuto una funzione essenziale nella tradizione occidentale, sia nella componente greca, sia nella componente che possiamo chiamare ebraico/cristiana. Le virtù cardinali sono dei pilastri che provengono dal passato ma sono anche voci per il presente e per il futuro. In questo senso occuparsi delle virtù cardinali mi sembra oggi più interessante che mai».

Desidera spiegarci il significato della parola “temperanza”?

«La temperanza a mio avviso è la capacità di frenare il proprio istinto a imporre le proprie opinioni, per rispettare quelle altrui. Questa è la definizione che io traggo dagli autori che ho esaminato nel mio piccolo saggio, in particolare da uno dei miei autori preferiti, lo scrittore, poeta, filosofo, saggista, statista e teologo inglese John Milton, l’autore del grande poema “Paradiso perduto”. Milton scrisse anche un piccolo testo, “Areopagitica” (1644), che è un discorso sulla libertà di stampa. Qui Milton traccia un elogio della temperanza dicendo che quest’ultima è proprio la capacità di non imporre i propri desideri, le proprie opinioni, il proprio stile di vita a chi ne ha di differenti. Quindi, rifacendomi anche a John Locke, la temperanza è una forma di rispetto di forme, e pensiero di vita, diverse da quelle preferite. La temperanza deve essere esercitata in particolare da quelli che hanno il potere, cioè da quelli che sono ai vertici dello Stato ma pensando a John Stuart Mills (terzo filosofo da me citato nel saggio), ricordo che in una società democratica la temperanza va esercitata un po’ da tutti. Guai a una maggioranza che si formasse in modo intemperante costringendo al proprio stile di vita minoranze che hanno fatto scelte diverse».

Nel testo scrive che il nostro Paese ha conosciuto “eccezionali esempi di temperanza”. Desidera fare alcuni esempi? 

«In Italia vi sono stati pensatori che senza parlare esplicitamente di temperanza ne hanno fatto l’elogio. Cito il patriota, filosofo, politico, politologo, linguista e scrittore italiano Carlo Cattaneo, così importante per la comprensione delle diverse realtà italiane in una nazione unita. Cattaneo non era né un monarchico né un “unitarista spinto”, era piuttosto rivolto a soluzioni federaliste. Un altro personaggio che mi sembra sia stato un grande teorico della temperanza nel senso che ho spiegato prima, è stato Luigi Einaudi. Figura essenziale, grande economista, secondo Presidente della Repubblica Italiana, l’insegnamento di Einaudi è stato importantissimo».

La “virtù”, un tema che può sembrare “antico”, ma che in realtà ha molte cose da dire all’uomo di oggi. Cosa ne pensa? 

«Le virtù cambiano, si possono avere virtù diverse in epoche diverse a seconda delle circostanze. Per esempio la passione per la conoscenza è una virtù che attraversa tutta la storia dell’Occidente che ha preso forme diverse. Pensiamo i grandi viaggi di scoperta per mare o alle grandi spedizioni via terra come quella del veneziano Marco Polo. Si tratta in questo caso del piacere di conoscere il costume degli altri, una molla importante che ha sostanzialmente cambiato profondamente il nostro stesso modo di vivere in Occidente. Basta leggere alcune pagine del “Milione”, resoconto del viaggio in Asia di Marco Polo, di suo padre e di suo zio, mercanti e viaggiatori veneziani. Siamo ai tempi più o meno di Dante. I grandi viaggiatori dunque sono esemplari per il loro modo di conoscere e di procedere. La temperanza è una virtù che ha modalità differenti a seconda dei secoli. Credo che un atteggiamento temperante, nel senso di Milton e di Locke, sia oggi più che mai necessario a livello dei rapporti internazionali. Le virtù cardinali sono ancora attuali, sono così dentro le nostre tradizioni che le ritroviamo, magari ridefinite in modo nuovo, proprio in tante questioni che riguardano le grandi sfide del mondo in cui viviamo. Secondo me la temperanza in questo senso mi sembra fondamentale per affrontare problemi come quelli che rendono così complesso il mondo contemporaneo. È intemperante una burocrazia che si moltiplica continuamente e che soffoca il cittadino, un pericolo questo che il nostro Mills aveva segnalato già nel 1859 nel suo saggio “Sulla libertà”».

Come resistere e conservare quel senso di equilibrio che John Milton chiamava “temperanza”?

«Non c’è una ricetta, se l’avessimo sarebbe tutto più facile. C’è almeno un atteggiamento da mantenere ed è quello di continuare a far ricerca, di continuare a sperimentare, rispettando gli altri oltre che se stessi».

Nella foto la Temperanza di Piero del Pollaiolo, dipinto custodito nella Galleria degli Uffizi a Firenze