Stop ai social per una settimana: è estate e ci basta guardare il tramonto. E scoprire i sorrisi delle persone “vere”

Una mattina mi sono svegliato e ho deciso: basta social, almeno per una settimana. L’estate era già iniziata e le home page di Instagram e Facebook iniziavano a debordare di post tutti molto simili fatti di mare, spiaggia, montagna, sorrisi, corpi abbronzati e sorrisi smaglianti. Ho acceso il mio smartphone, ho premuto forte sull’icona Facebook e poi cliccato sulla croce in alto a destra per toglierla dallo schermo. Stessa operazione con Instagram. Ci hanno provato le due applicazioni a farmi cambiare idea chiedendomi entrambi se fossi proprio sicuro di rimuoverle. Ho cliccato sì, un po’ a malincuore, senza guardare. Poi è iniziato l’esperimento. Il motivo della scelta stava nel fatto che mi rendevo conto di aver maturato una sorta di dipendenza dai social, una dipendenza che stava diventando noia e routine. Uno scorrere continuo sullo schermo senza capire bene cosa stessi effettivamente guardando o cercando, ma dovevo farlo.
Alt, mi sono preoccupato e ho chiuso tutto. Sono arrivato fino in fondo alla mia settimana di esperimento, avrei potuto anche continuare per qualche giorno in più perché mi sentivo “lanciato” ma ho deciso di installare nuovamente le due applicazioni per cercare di trovare un equilibrio: in fondo i social sono anche uno strumento di lavoro e possono diventare un passatempo rilassante se usati con cautela. La chiave che mi ha permesso di arrivare fino alla fine della mia settimana è stato il sentirmi un po’ “ribelle” di fronte ad una abitudine che sta diventando di tutti. Come a dire: tutti volete apparire? Bene, io non vi guardo più. Ma anche una riflessione interiore: proprio tu, Federico, così introverso, perché sui social ti lasci andare? No, non ci siamo perdi la tua personalità e se proprio devi aprirti al mondo, fallo in quello vero. Ma in principal modo l’aspetto che ha fatto “girare” la chiave di svolta nella serratura del mondo reale che si era chiusa a doppia mandata, è stato il vedere proprio questo mondo reale così come è.
Ho scoperto prima di tutto che le persone che mi circondavano, amici, parenti, colleghi, semplici conoscenti erano anche tristi nella loro vita che qualche problema quotidiano – più o meno grande – lo presenta sempre. I social sanno creare anche depressione e senso di inadeguatezza perché in quel mondo tutti, ma proprio tutti, si mostrano belli, felici, compiuti, spensierati, sempre in vacanza e anche quando postano qualcosa di poco positivo che è accaduto nelle loro vite riescono a trovare l’ironia giusta per buttarla sul ridere. E allora ti chiedi perché tu non riesca ad essere così’, perché la tua giornata è stata solo normale, perché sei andato al lavoro con un po’ di fatica e gli altri no e via di seguito. E invece le persone nel mondo reale hanno le loro preoccupazioni reali, qualche volta non sanno reagire e non sempre riescono a buttarla sul ridere e allora ti senti più adeguato anche tu, quasi volenteroso di dargli un aiuto, di tirarli su di morale non con un like ma con un sorriso, una parola o anche una discussione, sana fatta di urla (vere) e soprattutto sguardi. In questa settimana ho scoperto anche i silenzi, ma soprattutto la bellezza dei silenzi che componevano i momenti cosiddetti “morti” che prima erano bruciati da una “scrollata” sullo schermo del telefono mentre in quei giorni si allungavano perché facevano riflettere e meditare sull’importanza del tempo che non sempre deve correre veloce. I silenzi sono stati anche quelli di una lunga (e inaspettata) telefonata con una ragazza di cui in quel momento ero “segretamente” invaghito che rompevano una lunga e bella chiacchierata dove la voce si era finalmente sostituita alle immagini di un social o ai messaggi gelidi di una chat. In ultimo ho scoperto anche i tetti degli edifici della città, ho scoperto che ci sono uccelli che volano alti e uccelli che volano bassi, sono stato attento al cielo che cambiava colore e pure alle pettinature delle persone che incontravo. Insomma ho riscoperto che il mondo ha anche una seconda metà “alta” e non solo quella che va dal pavimento al mezzo busto di un corpo o al piano terra di un’abitazione perché è quello il campo visivo che si ha quando si appiccica il naso sullo schermo dello smartphone. Ed è stato bello concentrarsi su quelle cose perché il mondo è sembrato più ampio, perché si respirava più aria, perché il mondo sembrava anche più vario e meno ligio agli algoritmi dei social. Il rischio è quello che un esperimento simile sappia di nostalgia, della serie “ai miei tempi si faceva questo e quello, mica come oggi…” in realtà penso che ognuno di noi, un po’ social dipendenti, debba concedersi almeno una settimana di “detox” come si fa con le diete alimentari per riscoprire qualcosa che si dimentica troppo facilmente nella frenesia quotidiana scandita da smartphone e social. Non penso sia giusto fare a meno di questi, ma quel mondo un po’ virtuale deve alimentare, semmai, qualche piccolo sogno o fantasia da concretizzare comunque nel nostro mondo, quello reale fatto di silenzi, voci, piani alti di una città e anche problemi e tristezze senza paura di nasconderle.