Papa Francesco in Colombia: missionario di riconciliazione a Bogotà. Gianni Valente: «Un viaggio per dare forza alla pace»

Papa Francesco visiterà la Colombia dal 6 all’11 settembre, “missionario di riconciliazione” a Bogotá, Villavicencio, Medellín e Cartagena. La missione apostolica è legata al difficile e contrastato processo di pace in corso nel Paese. Questo sarà il quinto viaggio in America Latina del papa argentino dopo di quelli in Brasile (luglio 2013), Ecuador, Bolivia e Paraguay (luglio 2015), Cuba (settembre 2015) e Messico (gennaio 2016).

La diplomazia della Santa Sede e lo stesso Bergoglio in prima persona hanno giocato un ruolo nel tentativo di favorire l’accordo tra il governo del Presidente Juan Manuel Santos Calderone e i guerriglieri delle Farc (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia). Molto delicato è il processo di pace che, dopo oltre 50 anni di conflitto, ha visto il raggiungimento di un’intesa tra governo e i guerriglieri marxisti delle Forze armate rivoluzionarie.

Infatti, gli ex ribelli hanno iniziato il disarmo. Non a caso il logo e il motto del viaggio papale è “Demos el primero paso”, “Facciamo il primo passo”. Nel poster è raffigurato Francesco che cammina proprio a voler trascinare, in un certo senso, tutta la Chiesa latino-americana e in particolare quella colombiana nel rendere la pace forte e permanente nella vita del Paese, e farla vivere da ogni cittadino colombiano.

Gianni Valente giornalista di “Fides” e “Vatican Insider” da noi intervistato, chiarisce: «Papa Francesco, come in altre occasioni, anche in Colombia va a confermare i fratelli nella fede in un luogo e in una situazione complicata, e cerca di contribuire con la sua visita a dare forza a un processo di pacificazione che appare ancora incerto, esposto a insidie e possibilità di fallimento. Quindi, anche questa visita non ha niente di auto-celebrativo e piuttosto si pone al servizio del bene comune di quelle popolazioni, sperando di contribuire al miglioramento della vita quotidiana e ordinaria di tutti i colombiani, anche quando la visita papale sarà finita. Lo slogan scelto per la visita, “Facciamo il primo passo”, suggerisce bene questo desiderio di favorire un dinamismo di riconciliazione nazionale a favore di tutto il popolo colombiano. Il Papa non ha paura di mettere in gioco la sua reputazione per favorire un cammino che appare ancora non garantito nei suoi esiti finali. E suggerisce a ognuno dei soggetti in conflitto che la strada da seguire è quella di mettere da parte le pretese verso gli altri e di fare appunto il primo passo. Noi facciamo il primo passo quando qualcosa ci attrae, ci interessa così tanto che ci fa uscire dal ripiegamento su noi stessi, qualcosa che ci conviene e ci fa godere più del nostro tornaconto. E questa è la strada che Papa Francesco suggerisce oggi anche al popolo colombiano».

Domandiamo a Valente quali saranno le tappe più significative del diciannovesimo viaggio apostolico di Bergoglio e ci replica: «ll Papa visiterà quattro città, e ogni tappa potrà essere segnata con sottolineature particolari. La capitale Bogotà è anche la sede del Celam, l’organismo di coordinamento unitario di tutti gli episcopati cattolici latinoamericani. Sappiamo che Papa Francesco, da vescovo, ha partecipato intensamente alla vita di quell’organismo e soprattutto all’Assemblea generale del Celam che si tenne ad Aparecida nel 2007, dalla quale ha preso tanti spunti per la “conversione pastorale” che ora, col suo magistero pontificio, sta suggerendo a tutta la Chiesa. A Villavicencio ci sarà l’incontro con le minoranze indigene. In quella città, alle porte dell’Amazzonia, il Papa potrebbe riproporre l’allarme sulla salvaguardia del creato già lanciato con l’enciclica “Laudato sì”. Medellin, altra tappa della visita papale, è nota nel mondo come la città del narcotraffico, ma a livello ecclesiale rimane legata alla Conferenza del Celam che vi si svolse nel 1968, e che fu tutta ispirata dall’enciclica di Paolo VI “Populorum progressio”, l’enciclica dell’opzione preferenziale per i poveri. Infine a Cartagena de India, sede strategica del colonialismo spagnolo dove arrivavano gli africani catturati per essere venduti come schiavi nel Nuovo Mondo, Papa Francesco potrà interrogarsi sull’enigma di un ordine sociale costruito da cristiani che pure, dopo più di millecinquecento anni di cristianesimo, ancora legittimava e praticava senza alcuna riserva la schiavitù. E forse il Pontefice potrà anche parlare delle nuove schiavitù».

Ricordiamo che il 16 dicembre 2016 il Santo Padre aveva ricevuto in udienza il presidente della Colombia Juan Manuel Santos Calderon, Premio Nobel per la pace 2016 e il suo predecessore Álvaro Uribe Vélez. Viene dunque spontaneo chiedersi quale sia ora la situazione in Colombia e a che punto sono i negoziati. Per il vaticanista «la Colombia sta provando a uscire da decenni di conflitto, ma il processo si deve ancora consolidare e appare ancora segnato da contraddizioni e difficoltà. Gruppi armati come l’ELN (Esercito di Liberazione Nazionale) non sono coinvolti nel processo di pace e con difficoltà si è negoziato con loro un “cessate il fuoco” in vista della visita papale. La situazione politica appare polarizzata, in ampi settori del Paese si percepisce il predominio del narcotraffico e il dilagare incontrastato della corruzione. Anche gruppi cristiani pentecostali, organizzati e politicamente influenti, hanno contribuito alla battuta d’arresto seguita alla firma degli accordi di pace tra il governo e i guerriglieri delle FARC: lo scorso ottobre, quando quegli accordi sono stati sottoposti a referendum popolare, hanno prevalso di stretta misura i no, costringendo i negoziatori a rivedere tutto il processo. Al referendum i pentecostali, ma anche molti cattolici avevano votato “no”, perché una propaganda abilmente orchestrata dalle destre li aveva convinti in maniera alquanto singolare che il testo dell’accordo di pace conteneva passaggi che avrebbero favorito l’affermazione in Colombia della cosiddetta “ideologia gender”, accogliendo le istanze dei movimenti LGBT (conosciuti anche come movimenti di liberazione omosessuale) ad esempio sulla possibilità di adozione di bambini da parte di coppie omosessuali… Insomma, il quadro appare tutt’altro che stabilizzato, ma proprio per questo il Papa vuole offrire il suo sostegno e il suo conforto a tutti i colombiani di buona volontà».

Gianni Valente precisa che «la Chiesa in Colombia ha partecipato alle sofferenze del popolo. Tra le vittime di decenni di conflitti e di violenze, ci sono sacerdoti, religiosi e religiose, tanti catechisti e anche vescovi come il vescovo di Arauca Jesús Emilio Jaramillo, sequestrato, torturato, processato e ucciso il 2 ottobre 1989 dell’ELN, e Isaías Duarte Cancino, arcivescovo di Cali, ucciso il 16 marzo 2002. Durante il suo viaggio in Colombia, l’8 settembre a Villavicencio, Papa Francesco beatificherà come martiri uccisi in “odium fidei” sia il vescovo Jaramillo sia il sacerdote Pedro Maria Ramírez Ramos, linciato nel 1948 da un gruppo di militanti liberali. Certo, anche la Chiesa cattolica è stata segnata dalla polarizzazione che ha marcato l’intero Paese. Era colombiano il prete guerrigliero Camilo Torres ucciso nel 1966, dopo che aveva abbracciato la lotta armata; ed erano colombiani anche alcuni cardinali latinoamericani, che a partire dagli anni Ottanta hanno avuto grande influenza anche nello spingere i vertici ecclesiastici a contrastare in maniera sommaria e senza fare le dovute distinzioni tutto ciò che poteva essere collegato in qualche modo alla Teologia della Liberazione. Ma negli ultimi tempi, questa polarizzazione sembra essersi affievolita anche in seno alla Chiesa colombiana».

“Il Papa arriva in un momento unico per invitarci alla riconciliazione e all’incontro come società” ha scritto il Presidente della Colombia nel messaggio di benvenuto al Santo Padre. Al termine della nostra chiacchierata domandiamo a Valente se è vero che si prospetta un’era nuova per le future generazioni che non hanno conosciuto la convivenza con questa terribile situazione e ci risponde: «Papa Francesco ripete che anche la pace è qualcosa di “artigianale”, che va costruito nel tempo, cercando di valorizzare il contributo di tutti. È il contrario di qualsiasi enfasi “miracolistica” che pretenda di attribuire poteri catartici o palingenetici alla stessa visita papale. Papa Francesco conosce la Colombia, da vescovo ha visitato varie volte quel Paese, e non vi ritorna con l’intento di disseminare promesse irrealistiche o di dispensare ricette magiche. Sa bene che il processo per risanare le ferite del popolo colombiano e favorire la riconciliazione richiede tempo, e non può essere delegato a commissioni di dialogo e mediatori internazionali, ma ha appunto bisogno del sostegno ordinario e quotidiano soprattutto delle giovani generazioni, capaci di innamorarsi di quella pace di cui non hanno mai goduto».