Settembre, la vendemmia dei festival e l’inquieta ricerca dei pellegrini della cultura

A settembre, come ogni anno, finisce l’estate e incominciano i festival culturali. Ancora prima che incomincino a cadere le foglie, arrivano a grappoli scrittori, filosofi, artisti, a comporre una specie di ricca vendemmia di idee, simboli e immagini. La gente per ascoltarli si sposta attraverso l’Italia a Mantova, Pordenone, Sarzana, Modena. A Bergamo proprio questa settimana è iniziata la rassegna di Molte fedi sotto lo stesso cielo, anch’essa con ospiti di rilievo internazionale. Dietro ognuno di questi eventi c’è un grande sforzo organizzativo, ma ancora prima di pensiero, generalmente premiato da grandi numeri: lo vediamo anche a livello locale, dove questa settimana l’incontro (bellissimo) con Daniel Pennac è stato seguito dal vivo da oltre mille persone, ma altre 3500 sono rimaste in lista d’attesa (e per compensare gli esclusi, comunque, è stata attivata una diretta via Facebook). Qualcuno potrebbe forse irridere questi “pellegrini della cultura”, o considerarli dei semplici “consumatori”: ma come, oggi che abbiamo tutto a disposizione, libri, trasmissioni televisive, collegamenti in streaming, che senso ha sobbarcarsi una trasferta, uno spostamento, anche se forse piccolo, per ascoltare un incontro? Quello che ci colpisce, ogni volta che partecipiamo, è l’atmosfera, il clima particolare che si crea: c’è un grande bisogno di confronto costruttivo in un mondo fatto di relazioni frettolose, liquide e per lo più virtuali, in cui le discussioni si arroccano facilmente, e la verità si smarrisce nei rivoli di una rappresentazione mediatica superficiale e approssimativa, se non esplicitamente ideologica. Le persone che circolano per le strade dei festival non sono soltanto a caccia di un autografo sulla copia dell’ultimo bestseller: dalle domande che pongono, dai tweet e dai post che inviano sui social emerge piuttosto un bisogno, una ricerca. Vanno – andiamo – a caccia di nuove prospettive, di qualcosa che risponda a un’esigenza di impegno non solo intellettuale ma anche morale ed esistenziale. Può essere anche un modo laico di sperimentare il senso di comunità, in modo diverso da come viene solitamente inteso. In fondo, forse, serpeggia il desiderio di fare un po’ di silenzio in se stessi, di spostarsi al di là del rumore di fondo della vita quotidiana e del flusso continuo di informazioni non organizzate a cui soprattutto la rete ci sottopone. Forse abbiamo bisogno, come suggerisce Pablo d’Ors, prete e scrittore, nell’intervista che vi proponiamo nel dossier, di un po’ di deserto, per ripartire da noi stessi e riconquistare un po’ di leggerezza che, come la intendeva Calvino, “non è superficialità ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”.