La presenza dei cristiani tra forza e non violenza

Madre Teresa di Calcutta (1910-1997)

Sono stato, venerdì scorso, all’incontro dello scrittore ebreo Abraham Yehoshua in Santa Maria Maggiore. Tra le altre cose, Yehoshua  ha detto che i cristiani dovrebbero essere meno timidi, più forti, far pesare di più la loro presenza nella società, compreso il complicato scacchiere del Medio Oriente. Ma, tu, monaca, che cosa pensi di questo appello alla forza? Grazie. Antonio.

Caro Antonio, la domanda che mi poni  è assai impegnativa e non conosco il contenuto dell’incontro con lo scrittore Abraham Yehoshua per collocare, nel contesto, la tua richiesta. Cercherò allora di condividere alcune semplici riflessioni che  ti potranno apparire superficiali.

I cristiani si sono ritirati dalla scena politica

Forse è vero che il cristianesimo ha perso un po’ della sua audacia e della sua forza testimoniale  nella sfera politica e nella denuncia di tutte quelle situazioni di ingiustizia che ledono la dignità di figli di Dio che tutti gli uomini, più o meno consapevolmente, hanno inscritta nel loro animo. Nella storia i cristiani sono stati anche  “promotori” di azioni violente contro ingiustizie, hanno promosso guerre e crociate, partecipato a manifestazioni contro ogni tipo di violenza e sopruso.

Perché  stiamo vivendo un tempo in cui è venuta meno una presenza “politica” più visibile, un movimento di solidarietà e di difesa dei diritti umani, nel quale i cristiani erano numericamente più presenti e rilevanti. Quando ci sono, sono molto flebili, anche le voci di qualche “profeta” che denuncia ingiustizie o illegalità, e richiama ai valori fondanti la convivenza e la pace.

Assistiamo all’assenza di leader politici significativi e,  purtroppo, l’impegno dei più non ha molto la caratteristica della ricerca del bene comune, ma del mantenimento e potenziamento di interessi personali o di partito. Forse questo riguarda il declino dell’impegno sociale e politico da parte degli uomini, indipendentemente dalle loro convinzioni?

Ci sono però gruppi, associazioni che continuano la loro opera di impegno e fanno sentire ancora la loro voce, anche se meno visibili e forse, meno evidenziata  dai mezzi di comunicazione, che rilevano altre notizie più “spettacolari”. La Chiesa è sempre presente là dove l’uomo soffre, dove vive ingiustizie divisioni: pensiamo ai missionari religiosi e laici, a gruppi di volontariato che sono in prima linea nella denuncia e nell’intervento di recupero, di riconciliazione, nell’iniziare processi di cambiamento che fungano da stimolo anche per le istituzioni politiche e sociali.

La via buona della non violenza

Certo, non è sempre voce forte che si fa sentire in questa globalizzazione dell’indifferenza!  Ma è pur vero che la Chiesa, Papa Francesco per primo, e quindi i cristiani impegnati e convinti della forza del Vangelo, fanno sentire la loro voce nello scegliere la via della non violenza e della forza della mitezza.  La violenza e la forza, se non in caso difensivo, non sono la cura per il nostro mondo frantumato, poiché esse, nei peggiori dei casi, possono portare alla morte fisica e spirituale, a sofferenze enormi di cui siamo ben consapevoli e ne siamo testimoni, ogni giorno, dalle notizie che i mezzi di comunicazione ci pongono innanzi.

Essere veri discepoli di Gesù, oggi, significa aderire alla sua proposta non violenta: nel mondo c’è troppo odio, troppa ingiustizia, e non si può superare questa situazione se non contrapponendo un di più di amore, di bontà. Essa è l’ atteggiamento di chi è convinto dell’amore di Dio e della sua potenza, di chi non può  che  affrontare il male con le armi dell’amore e della verità,  spezzando in tal modo la catena dell’ingiustizia. Non è resa, disimpegno e passività, e i testimoni come madre Teresa, Martin Luter King,  Ghandi e altri, ci narrano la rivoluzione sociale dell’amore.

L’ impegno a favore delle vittime di ogni sopraffazione non è patrimonio della Chiesa, ma è proprio di molte tradizioni religiose, per le quali la compassione e la non violenza sono essenziali e indicano la via della vita, poiché la violenza è la profanazione del nome di Dio.

Questo è una sfida per tutti, per i leader politici e religiosi, per i responsabili delle istituzioni: costruire la società o le comunità con lo stile degli operatori di pace; dare prova di misericordia rifiutando di scartare le persone, danneggiare l’ambiente e voler vincere ad ogni costo. Questo richiede la disponibilità di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo. Operare in questo modo significa scegliere la solidarietà come stile per fare la storia e costruire l’amicizia sociale,  mostrando  che l’unità è più potente e più feconda del conflitto (Papa Francesco).

A noi  scegliere di essere persone che, con parole e gesti, convertono  ogni forma piccola o grande di violenza dal cuore e accettano la sfida e la missione di essere operatori ti pace e costruttori di comunità che si prendono cura della casa comune.