L’ordine delle cose di Andrea Segre: gli sbarchi sulle coste siciliane e quel traffico di vite umane tra l’Italia e la Libia

Presentato in anteprima mondiale alla 74ª Mostra del Cinema di Venezia, “L’ordine delle cose” di Andrea Segre traccia un ritratto a tinte forti, a tratti crudo, dell’attuale situazione degli sbarchi sulle coste siciliane.
Con meraviglia e stupore della platea l’altra sera, prima della proiezione del film al Cinema Conca Verde, il regista ha regalato un commento all’opera attraverso una chiacchierata via Skype con il pubblico di Bergamo, in collegamento insieme a una sala di Lignano.
“Quando, tre anni fa, insieme a Marco Pettenello, è nata l’idea del film – ha detto – cioè quella di indagare la vita di coloro che lavorano nella task force internazionale per gestire il flusso migratorio proveniente dalla Libia, mai ci saremmo immaginati di realizzare un’opera realistica o documentaristica. Quello che ci interessava era comprendere chi sono coloro che vengono impiegati e inviati in Libia dal Ministero dell’Interno per concordare con le forze libiche l’azione sui flussi migratori. Avremmo voluto produrre un’opera di finzione che permettesse al pubblico di riflettere su coloro che, in prima linea, condizionano la politica estera italiana. Con nostra grande sorpresa, quella che avremmo voluto fosse un’opera fittizia è diventata una narrazione molto vicina alla realtà: il film se non avessimo inserito la figura del protagonista sarebbe praticamente un documentario”.
E per l’appunto il protagonista, Corrado, è un funzionario della task force internazionale del Ministero degli Interni italiano, specializzato in missioni internazionali contro l’immigrazione irregolare. Viene inviato in Libia per discutere con i responsabili dei centri di detenzione per immigrati irregolari su come gestire i flussi migratori verso l’Italia, trasformando, grazie ai fondi dell’Unione Europea, questi centri in hotspot. Obiettivo della sua missione è convincere anche la guardia costiera a navigare in acque internazionali per recuperare e riportare indietro i barconi di coloro che tentano di fuggire e raggiungere l’Italia. “L’ordine delle cose” secondo Segre è che la Libia accetti la proposta europea, argini i flussi e investa i soldi nel miglioramento di centri di detenzione secondo il rispetto dei diritti umani. L’ordine delle cose, per Corrado, è svolgere ciò per cui è stato inviato e tornare in Italia con la vittoria sulla Libia. L’ordine delle cose è l’allenamento di scherma, raccogliere la sabbia in piccole e identiche bottiglie di vetro, organizzare in maniera meticolosa i dettagli di una vita perfetta.
L’ordine delle cose, quello che lo Stato Italiano vuole: ridurre i flussi migratori per arginare un problema di cui troppi si lamentano e di cui nessuno vuole assumersi la responsabilità. L’ordine delle cose sarebbe, quindi, che in Italia non ci fossero più sbarchi, che il popolo italiano potesse sentirsi al sicuro e fiero di una politica che mette ordine là dove regna il caos.
L’ordine delle cose, davvero, non può essere cambiato?
L’ordine delle cose è riconoscersi uomo fragile prima che funzionario inumano. È vedere, sentire, annusare, toccare, assaggiare l’ingiustizia e il diniego dei diritti umani nei centri di detenzioni libici. È odiare l’inferno in cui soffrono quanti sperano una vita migliore, il paradiso in cui i trafficanti consumano il denaro europeo. È la dignità negata di un volto, un nome, una storia.
L’ordine delle cose è la scelta, la domanda, il dubbio di chi osserva dalle coste italiane, se essere attore o spettatore, amico o nemico, se vittima o carnefice, “perché noi siamo il Paese che salva le vite umane, ma non possiamo continuare a far entrare tutti”. Forse.