M5S e grillismo. Le contraddizioni e il successo. Quattro ragioni per spiegarlo

Luigi di Maio, candidato premier del M5S

Il non-partito regolato da un non-statuto e diretto da un non leader

La cultura politica e l’offerta politico-programmatica del M5S sono chiare e distinte, salvo le contraddizioni e le incoerenze della prassi politica effettuale, e comunque ben note.

Il M5S vuole abbattere la democrazia liberale, fondata sulla rappresentanza, e sul sistema dei partiti, in quanto selezionatori della classe dirigente. Al suo posto, la “democrazia diretta”, nella quale “uno vale uno”, e la Rete, nella quale la selezione è fatta dai click e dall’imperscrutabile algoritmo. Il sistema dei partiti ai loro occhi ha due difetti: “rappresenta” e quindi si sostituisce al rappresentato; nello spazio vuoto che si apre tra rappresentato e rappresentante, si insedia la corruzione quale fenomeno strutturale delle democrazie liberali. Partito=politica=corruzione. Di qui la centralità dei giudici, chiamati a controllare preventivamente la politica.

L’economia vagheggiata dai grillini è quella della “decrescita felice”, che l’ideologia ecologista-pauperista ha largamente pubblicizzato in questi anni. No ad investimenti, tutto fermo. Quanto alla politica sociale, a tutti – con determinati requisiti – deve essere garantito “il reddito di cittadinanza”. Rimando alla Relazione esplicativa del disegno di Legge n. 1148, presentato al Senato dai Senatori grillini il 29 ottobre 2013. È la festa dell’assistenzialismo. Fa il paio con la teorizzazione dell’abusivismo di necessità. Quanto alla politica della salute, basterà ricordare la campagna No-Vax. In sintesi: la cultura politica del M5S è un condensato di tardo-bolscevismo, giustizialismo, pauperismo, assistenzialismo, meridionalismo miserabilistico, superstizionismo.

Eppure… questo non-partito, non-regolato da un non-statuto, nel quale il non-leader ha il potere di dare e togliere la voce a tutti “gli uno che non-valgono uno”, è accreditato, dai sondaggi del momento, di un consenso che oscilla tra il 25% e il 30%. Se ne deve dedurre che questi filoni culturali scorrono da tempo nelle vene del Paese, non sono un’invenzione di Grillo. Il quale ha solo deciso di sintetizzarli in una piattaforma organica: questa è la sua invenzione.

Ha colto uno Zeitgeist, un nuovo spirito del tempo, e ci ha investito. I partiti e gli opinionisti, che oggi, alcuni con notevole ritardo, hanno deciso la battaglia politica e culturale contro il grillismo, hanno buon gioco a far rilevare impietosamente le contraddizioni, i contorcimenti, l’incompetenza, le lotte sotterranee, le incoerenze del M5S. Ma i suoi potenziali elettori non le vedono. Perchè?! Dunque, non basta la battaglia politica spicciola, fatta di picche e ripicche, occorre provare a sciogliere i grumi culturali, che si sono accumulati nel sangue vivo del Paese. A meno che… anche i partiti e i mass-media  non ne siano essi stessi vittime, più di quanto non credano.

Il successo e le sue ragioni, culturali, filosofiche, nazionali, internazionali

Partiamo dalle cause. Sono almeno di quattro tipi: socio-culturali, filosofiche, politico-nazionali e politico-globali.

Socio-culturali: secondo l’Istat il 18,6% degli italiani lo scorso anno non ha mai aperto un libro o un giornale, non è mai andato al cinema o al teatro o a un concerto, e neppure allo stadio, o a ballare. Quasi solo televisione. Nel nostro Paese il 25% della popolazione non ha alcun titolo di studio o ha, al massimo, la licenza della scuola elementare. La percentuale dei laureati è la metà di quella dei Paesi sviluppati. Se gli analfabeti strutturali arrivano al 5%, gli analfabeti funzionali arrivano al 47% degli italiani.  “Analfabetismo funzionale” designa l’incapacità di un individuo di usare in modo efficiente le abilità di lettura, scrittura e calcolo nelle situazioni della vita quotidiana.

Secondo il  Programme for the International Assessment of Adult Competencies (PIACC) dell’Ocse, un analfabeta funzionale è più incline a credere a tutto quello che legge in maniera acritica, non riuscendo a “comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere con testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità”. L’Italia si trova ai vertici negativi delle classifiche mondiali. Tullio De Mauro ha scritto alcuni anni fa che più del 50% degli italiani si informa, vota, lavora, sulla base di analisi elementari a corto raggio: gli eventi complessi – il terrorismo islamico, l’immigrazione, la crisi coreana – vengono letti solo a partire dalle esigenze più quotidiane e immediate. È la famosa “pancia” al comando.

Con tutta evidenza, siamo di fronte ad un’accumulazione originaria di ignoranza, di generazione in generazione, che il sistema educativo nazionale, così come è strutturato, è incapace di smaltire.

Le cause filosofiche hanno un solo nome: il nichilismo. Se non esistono fatti, ma solo interpretazioni, la realtà siamo noi, la realtà è una variabile dipendente dell’Io. Questa idea è causa/effetto di un senso di onnipotenza e di libertà come arbitrio e volontà pura, che toglie di mezzo la società e la storia, il passato e il futuro. Non si dà più un limite.

Pure speculazioni metafisiche? No, è ciò che pensano “spontaneamente” molti ragazzi e giovani oggi fin dalla più tenera età, abbeverandosi allo “spirito del tempo”. Dal quale è nata l’idea semplice e bizzarra che la storia si possa rovesciare come un calzino, che si possa “rottamare”, che si possa accendere un rogo redentore mediatico-giudiziario, che purifichi la società da tutte le scorie. Di qui la perdita dell’etica della responsabilità e il sopravvento dell’etica narcisistica della convinzione: cogito, ergo rectus sum, iustus sum… Ovviamente, il nichilismo ha cause tutt’altro che filosofiche. Ma qui può bastare solo la constatazione che non è più solo “un ospite inquietante”, è divenuto il padrone di casa.

Le cause nazionali: sono ben note. Si tratta del collasso culturale del sistema dei partiti della Prima Repubblica, cioè dell’unico sistema vigente di formazione e pre-selezione della classe dirigente politica del Paese. Il passaggio ai partiti personali è stata la scorciatoia percorsa dai partiti per legittimare in altro modo la loro funzione di selezione della classe politica, che la Costituzione affida loro e che hanno continuato a svolgere. Ma con ciò è anche incominciato il “fai-da-te”; intanto dentro i partiti, frammentati in correnti senza giustificazione culturale, e, poi, fuori dai partiti, nella cosiddetta “società civile”, mediante la creazione di nuovi partiti, comunque autodefiniti “movimenti”, “associazioni”, “fondazioni”, “non-partiti”. Persino l’ANPI si è trasformata in un nuovo partito di sinistra radicale.

Quanto alle cause internazionali: la caduta del comunismo, la fine delle narrazioni e delle contro-narrazioni ideologiche che hanno attraversato il ‘900 e hanno inquadrato le coscienze e le culture hanno dichiarato un “liberi tutti”. Con ciò è stato però sempre più difficile costruire il significato storico ed esistenziale della presenza individuale e associata nel disordine del mondo presente. Più arduo definire un senso razionale della vicenda storica. Così non solo i cittadini, ma anche i leader paiono a volte andare incontro come sonnambuli alla catastrofe, che sta sempre dietro l’angolo. Di qui le paure, i nazionalismi, la fuga nelle piccole patrie.

Il M5S è tenuto su a braccia da queste quattro cause. Quanto sia lunga la coda di questa meteora politica, al momento non si può prevedere. Ma quand’anche fosse corta, la sua insorgenza è il segno di un Paese malato in profondità. Anche coloro che si propongono come medici ne sono variamente colpiti.