“I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel Regno di Dio”

Caravaggio: La vocazione di san Matteo, Roma, s. Luigi dei Francesi

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò (Vedi Vangelo di Matteo 21, 28-32)

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Uno dei temi centrali della vicenda di Gesù è il suo scontro con le autorità giudaiche. Lo scontro nasce al fatto che le autorità giudaiche si oppongono al messaggio del vangelo, mentre lo accolgono peccatori e marginali. Con la parabola di oggi, Gesù denuncia questa strana contraddizione.

Gli ebrei “buoni” e gli “altri”

Il mondo, per gli ebrei, si divide in due grandi gruppi: gli osservanti e i buoni, da una parte, i non osservati e i peccatori, dall’altra. La parabola racconta di un padre che invita i due figli ad andare nella vigna. La vigna è una delle immagini classiche che nella bibbia designa Israele. Il padrone della vigna, dunque, invita i due figli a entrarci. Il primo è buono, obbedisce, prima; ma poi disobbedisce. Viceversa il secondo: apparentemente è cattivo, perché non obbedisce, ma poi cambia parere (“si converte” si potrebbe tradurre: uno dei termini che Gesù usa per indicare una condizione indispensabile per entrare nel Regno).

Dunque è avvenuto che gli ultimi, i disobbedienti, i peccatori, hanno cambiato radicalmente vita e sono entrati nella vigna, hanno accettato di far parte del nuovo popolo di Dio, sono entrati nel Regno. I primi destinatari della parabola, invece, i farisei, gli scribi, gli osservanti non si sono convertiti e sono rimasti esclusi.

Pubblicani e prostitute

Ne consegue dunque che le due categorie di persone che l’opinione pubblica del tempo condanna senza appello, pubblilcani e prostitute, passano avanti ai buoni e agli osservanti. Anche il Battista, dunque, che predicava che bisogna servire il Signore “in santità e giustizia”, quella che la bibbia chiama la “via della giustizia”, non è stato ascoltato dai benpensanti. L’hanno ascoltato invece pubblicani e prostitute: costoro sapevano di essere peccatori, si sono convertiti e sono arrivati alla fede. I “giusti”, invece, convinti di essere buoni, non si sono convertiti e non sono arrivati alla fede.

La parabola, in fondo, è ottimista: chiunque può salvarsi, si è sempre a tempo a cambiare parere, a trasformare un “no” in un “sì”. Solo che bisogna avere il cuore aperto, disponibile e quindi avere quella miracolosa capacità di accorgersi che Dio chiama. Si converte, infatti, chi sa cogliere i segni che Dio manda. Non a caso Gesù rimprovera i suoi ascoltatori di non aver saputo ascoltare il Battista. Era lui il segnale. Non lo hanno visto.

Decifrare i segni e non solo quelli che piacciono

C’è in giro una fame straordinaria di segni. Ma, quanto più quella fame è grande, tanto più è facile ingannarsi e scambiare i segni positivi in negativi e viceversa. La grande scommessa è saper decifrare le parole, i messaggi, i segni, appunto, che ci arrivano da tante parti e capire ciò che davvero il Signore vuole da noi. Il grande rischio, infatti, è costruirci una verità su misura e fare ciò che piace a noi e non ciò che piace a lui.

Anche oggi molta gente accetta quello che le piace. Papa Francesco? Va bene quando fa le sue belle omelie, non quando mi dice che bisogna accogliere gli immigrati. Va bene quando fa le sue belle battute, non quando mi dice che i soldi non sono tutto e che la povertà è un valore… e così via.

Se noi ci attardiamo a seguire i segni che ci piacciono, a trovare le conferme di quello che già pensiamo, rischiamo di perdere il treno. E così può succedere anche oggi che chi dice di sì di fatto dice di no e chi dice di no è poi capace di dire di sì. Chi accoglie la faticosa verità del vangelo entra nel regno e noi, che pensiamo di possederla da sempre, restiamo fuori.