L’omaggio della Bolivia a Che Guevara a 50 anni dalla morte. Ecco cos’è rimasto dietro l’icona e gli slogan

«La bellezza formidabile dell’Illimani diffonde la sua soave luminosità, eternamente avvolto da quell’alone di neve che la natura gli ha prestato per sempre. L’ora del tramonto è quando il monte solitario assume ancor più solennità e imponenza». A scrivere queste parole è un giovane 25enne Ernesto Guevara de la Serna in una lettera inviata da La Paz alla madre, Celia, il 12 luglio del 1953. Dal versante opposto rispetto alla grande metropoli, anche io ho la fortuna di poter ammirare tutti i giorni quel “monte solitario” – forse non più così ricoperto di neve – che tanto impressionò el Che in quella sua prima visita in Bolivia. Certo non poteva immaginare che 14 anni dopo, su quello stesso suolo boliviano – a La Higuera (Santa Cruz) – sarebbe stato catturato e ucciso dall’esercito del dittatore René Barrientos, in qualità di comandante della guerriglia.
A 50 anni dalla sua morte, anche Bolivia rende omaggio alla figura del Comandante con eventi, convegni, memoriali, visite commosse a Vallegrande (dove venne giustiziato). In effetti, è difficile comprendere appieno cosa sia stato e cosa rappresenti Ernesto Guevara per America Latina fino a quando non la si visita o non la si vive da vicino. Fino a quando, girando per le strade di una qualsiasi città o di uno sperduto pueblito di contadini sulle Ande, non ci si imbatte nel suo solenne e austero volto dipinto sui muri, accompagnato dall’immancabile e famosissima frase “Hasta la victoria siempre!”. Lo stesso volto che non è raro trovare appiccicato, come un santo protettore, sui caschi dei minatori; o come effige in un qualsiasi convegno politico dalle tinte rosse sbiadite. O, ancora, sulle magliette di giovani sparsi in tutto il mondo, ancora affascinati dalla figura del Che; o, peggio, in alcuni stadi di calcio come rivendicazione politica in alcuni settori ultrà. Per non parlare degli innumerevoli casi in cui la figura di Guevara viene utilizzata per ri-abilitare esponenti politici e non solo: il presidente di Bolivia, Evo Morales, ha annunciato che raggiungerà Vallegrande a piedi per questa importante ricorrenza e che dormirà in una tenda perché “no había hospedaje” (“non ci sono alloggiamenti liberi”).
Quella foto, che oggi campeggia in modo indiscriminato in ogni angolo del mondo, è stata scattata dal fotografo cubano Alberto Korda nel marzo del 1960. La conosciamo tutti; l’abbiamo vista centinaia di volte. Alcuni ne sono rimasti ormai nauseati e in essa non vedono che un’icona svuotata tanto della personalità potente del rivoluzionario, come di ogni riferimento o appartenenza politica. Un po’ come le litografie di Andy Warhol, dove l’immagine viene ripetuta innumerevoli volte così da scaricarla di qualsivoglia significato. (Peraltro lo stesso Warhol utilizzò lo scatto del fotografo cubano per una delle sue opere).
Una moda, una griffe, un brand più che il simbolo di una dichiarata ideologia – non per forza comunista o marxista-leninista. Il comico Checco Zalone, in uno dei suoi ultimi film in cui, come spesso accade, interpreta provocatoriamente lo stereotipo dell’italiano medio, si rivolge al commesso di un negozio chiedendo: «Oltre alle magliette, della “Che Guevara” avete anche i borselli?».
Per molti altri, invece, la figura del Che (che la foto di Korda rivela in modo così genuino in tutta la fierezza dell’uomo) è ancora profondamente attuale e ancora capace di trasmettere messaggi di speranza e uguaglianza. Non già come guerrigliero, come comandante o come sommo esponente di una rivoluzione armata, in taluni casi peraltro perdente e infruttuosa. Ma soprattutto come uomo che ha offerto la sua vita in nome di quell’ideale di riscatto e di giustizia tra gli uomini che fin dal principio ha animato il suo agire («Sono in grado di sentire in me la fame e la sofferenza di ogni popolo di America, ma anche di ogni popolo del mondo»). E non sorprende nemmeno più di tanto il fatto che diversi missionari cosiddetti “della seconda generazione” si siano animati a raggiungere America Latina proprio sotto la spinta guevarista. Ne sono conferma le parole di padre Mauricio Lefebvre, prete canadese missionario in Bolivia, assassinato il 21 agosto 1971 durante il colpo di Stato militare del generale Hugo Banzer: «La mia grande inquietudine, in merito all’avventura del Che, viene dalla domanda che mi pongo: quando la Chiesa e noi, suoi preti, rischiamo la pelle per ciò in cui abbiamo deciso di credere in materia di carità, di povertà, di libertà religiosa, di giustizia sociale?».
Recentemente, scorrendo tra le tante castronerie e sciocchezze che si leggono quotidianamente su Facebook, mi sono imbattuto in un commento che ha colto la mia attenzione e che mi ha fatto sorridere. In riferimento ad un articolo su Ernesto Guevara, un utente scriveva: “Ha dato la sua vita per gli altri, pur sapendo che non sarebbe risuscitato”. È un’ inappropriata esagerazione ma certamente rivela quello che per alcuni significa ancora oggi la figura del Che: il rivoluzionario che ha amato l’uomo (in particolare gli ultimi) fino all’estremo sacrificio della sua vita, offerta non in nome di una fiducia malriposta nell’ideale socialista, ma in nome di quella giustizia sociale che già lo infiammava a 24 anni quando, giovane viaggiatore per la sua “maiuscola America”, termina così i suoi diari di viaggio (i famosi Diari della motocicletta): «Sapevo che nel momento in cui il grande spirito che governa ogni cosa darà un taglio netto dividendo l’umanità intera in due sole parti antagoniste, io starò con il popolo». Così è stato. È rimasto fino alla fine al lato del popolo oppresso dell’America Latina. Per quel popolo, senza voce e senza dignità, è stato assassinato il 9 ottobre 1967 nel piccolo villaggio de La Higuera. La fotografia scattata da Hutten, che ritrae il corpo martoriato e senza vita del Che, è anch’essa diventata un simbolo (quasi sacro) per la sua impressionante somiglianza al dipinto del “Cristo morto” di Andrea Mantegna.

Alla vigilia delle grandi commemorazioni per i 50 anni dalla morte di Ernesto el Che Guevara, l’Illimani è sempre lì, nella sua naturale perfezione, impassibile si staglia contro l’orizzonte; indifferente di fronte ai fatti e alle tribolazioni dell’uomo. Così il ricordo del Che resiste agli anni, all’usura del tempo e alla sua mercificazione. Il suo sguardo imperturbabile e fiero, ritratto da Korda nel famoso scatto, racconta dell’uomo pronto a entrare per sempre nella storia e nel ricordo dei posteri che è lì dove ancora vive.