Una frase su tutte mi è rimasta impressa, e l’ha detta Benedetta, parlando della sua esperienza ad Abidjan, in Costa d’Avorio: «L’ Africa ci ha spalancato i polmoni. L’Africa ci ha dato un respiro nuovo».
In effetti guardando quei ragazzi giovedì 19 raccontare la loro esperienza in Sala Agliardi, un po’ la sensazione è quella. Avevano un entusiasmo particolare, che si rifletteva negli occhi e nelle parole.
Aprendo la serata, don Gabriele, curato dell’oratorio, ha detto: «Non è l’esperienza di 24 giovani, ma di una comunità». Comunità che, sulla scia della giornata missionaria di domenica 22 ottobre, ha ascoltato i suoi giovani raccontare ciò che hanno visto e vissuto ad agosto, con la naturalezza e lo stupore dei vent’anni.
Dopo due giorni nella capitale, i ragazzi si sono divisi nelle quattro missioni. Un primo gruppo è rimasto a Abidjan, ospitato nell’istituto delle suore. Si sono occupati dell’organizzazione del cre sia al mattino che al pomeriggio, in cui animavano bambini di diverse religioni. «Siamo partiti con 50 bambini e alla fine ce ne siamo trovati il triplo» racconta Michela. Prosegue Giovanni: «C’era un gioco bellissimo che ho imparato, il mio preferito. Si chiama noir/blanc. Il palmo della mano è bianco, il dorso nero. Loro vincevano sempre, io un po’ meno.»
Un secondo gruppo di quattro ragazzi si è invece spostato a Agnibilekrou, 300 km e otto ore di viaggio da Abidjan. Insieme a suor Gertrude hanno lavorato nel Centro di Salute dell’Istituto Palazzolo, in cui venivano curati casi di malaria e malattie tropicali. «Le loro strutture ricordavano quelle italiane negli anni 70» spiega Federico.
Quattro ragazze si sono invece spostate ad Adjake. Con suor Annamaria («Ci portava in auto. Dopo due settimane abbiamo scoperto che non aveva la patente») si occupano dei 48 bambini di un orfanotrofio. I più grandi avevano tre anni.
Ultimo gruppetto di solo ragazzi si è trasferito a Tanda, a 280 km dalla capitale e a 40 km dal Ghana. È una città cristiana al 90% e- come l’ha definita Stefano- «una realtà ivoriana che parla colognese. Ci hanno fatto lavorare abbastanza. Abbiamo dovuto spaccare la terra per sistemare dei cavi elettrici. Più dura del cemento.».
Un comun denominatore fra tutti i gruppi è stato lo stupore con cui raccontavano le messe a cui hanno assistito. Lunghissime sì, ma piene di gioia e di colori. I fedeli, eleganti nei loro abiti, cantavano e ballavano, coinvolti dal ritmo della musica. Unica pecca forse le prediche che hanno ascoltato: «Una è durata tre ore» dice Daniele.
In loro c’è la consapevolezza di non aver cambiato l’ Africa. Ma ora, grazie a loro e ai fondi raccolti, Marta, una bambina disabile dell’orfanotrofio, potrà fare l’esame che non poteva permettersi, la chiesa di Tanda ha un’illuminazione migliore, e così via. Dice don Gabriele: «Sono ragazzi più responsabili nell’amore, nell’ascoltare, nell’aprire gli occhi e rendere la loro quotidianità un po’ più unica. ».
Chiude l’incontro suor Luisa, da 15 anni in Costa d’Avorio, che sogna di costruire una scuola elementare ad Abidjan in cui insegnare ai bambini come sia possibile convivere pacificamente tra le varie religioni. «Negli occhi di questi ragazzi ho visto il Beato Luigi M. Palazzolo. Lui diceva di cercare il rifiuto degli altri, ciò che gli altri non volevano. In loro ho rivisto tutto questo».