Preti, non sacristi

Foto: don Alberto Varinelli con un gruppo di chierichetti nella sacrestia di Telgate

Una necessaria premessa: ho grande stima per i sacristi. Vivo quotidianamente della dedizione e passione di Franco e Maria a Telgate, di Gigi a Grumello; sono cresciuto ammirando l’amore per la Chiesa e la liturgia dell’amico Enrico, sacrista nella mia parrocchia nativa di Santa Caterina in città. A loro va il grazie di cuore mio e delle nostre comunità.

Il prete non fa il sacrista

La mia riflessione, oggi, vuole continuare a tenere al centro la questione del prete. A volte, mi sembra, per dire chi si è chiamati ad essere è importante partire dicendo ciò che non si deve essere. Da qui una affermazione per me necessaria: il prete non ha vocazione da sacrista. Con questo non voglio dire che il sacerdote non deve avere cura per la liturgia e lo stile celebrativo: celebrare bene, preparare l’omelia, avere cura di predisporre i luoghi sacri in base al tempo liturgico è compito primario del prete. Allo stesso modo non intendo sostenere che il prete non può fare funzione da sacrista: se questo non c’è, il prete prepara ciò che serve per la celebrazione.

No, il problema è quando il prete volge la sua attenzione alla pura estetica liturgica, diventando maniacale su pizzi, decorazioni, calici dorati, piviali centenari. Dico sinceramente che non ho alcun problema a indossare una pianeta del settecento, anzi è giusto fare uso di ciò che la gente delle nostre comunità ha faticosamente offerto per il decoro della sua chiesa e per la gloria di Dio.

Ma essenziali sono Dio e la sua gloria, appunto, che non si rende innanzitutto con i paramenti, ma con una vita che parli di Lui ai fratelli, a partire da una relazione profonda con Lui. Mi accorgo, però, che talvolta il prete che si rifugia in sacrestia è molto apprezzato, soprattutto da certa politica e da chi ha bisogno della Chiesa per interessi suoi. Perché?

Il prete che non dà fastidio a nessuno

La mia ipotesi è che un sacerdote così in fondo a qualcuno faccia comodo: finché se ne sta in sacrestia coi i suoi “pizzi e merletti”, pronuncia omelie elevate ma che nulla hanno a che vedere con la vita della comunità, è molto benedicente e accomodante, dice sì a tutti, non dà fastidio ad alcuno. Mi sembra, però, che la fedeltà al Vangelo chieda altro.

Certamente non chiede di essere preti che fanno politica e tengono comizi, ci mancherebbe. Tuttavia, chiede di parlare chiaro di fronte a scelte che sono lesive della dignità umana e che rinnegano la visione cristiana dell’uomo. Certo, non è semplice. Prendere posizione su questioni importanti della società, o anche solo prendere posizione verso quei collaboratori che non stanno facendo il bene della comunità ma perseguendo finalità altre (a chi non è mai capitato?) espone a critiche, antipatie, esclusioni e talvolta calunnie. Ma il Vangelo chiede coerenza e in Paradiso nessuno va con gli occhi asciutti, neanche i preti.