Stephen Gyau: «In Libia ho perso la mia casa e la mia famiglia. In Italia ho trovato il coraggio di ricominciare»

Stephen Gyau, 27 anni, viene dal Ghana ed attualmente è ospitato presso il Centro di Accoglienza Straordinaria di Sotto il Monte. La sua storia, nonostante quello che ha passato, è una storia di speranza ed ottimismo: malgrado il diniego ottenuto alla sua richiesta di protezione internazionale come rifugiato politico, è riuscito ad ottenere un permesso di soggiorno per motivi umanitari. “Mia madre è ghanese e mio padre viene dalla Liberia. Si sono conosciuti in Libia, dove entrambi erano migranti economici, lui lavorava come idraulico mentre mia madre come badante. Fino a nove anni ho vissuto in Ghana con i familiari di mia madre, poi mi hanno portato in Libia”. In Libia la vita scorre tranquilla: Stephen non va a scuola, ma i suoi genitori gli fanno lezioni a casa. Si sposa con una giovane ghanese, che abita anche lei in Libia, in un’altra città, e hanno un bambino. Ma dal 2011, l’anno delle cosiddette “primavere arabe”, la situazione nel Paese precipita. Un giorno alcune persone piombano nella casa della sua famiglia, e prendono suo padre, che viene rilasciato tempo dopo dietro un pagamento. “Era in condizioni critiche – racconta -, non riusciva più a camminare, l’avevano picchiato. Abbiamo cercato un dottore che potesse occuparsi di lui”. Ma Stephen è preoccupato anche per la moglie e il figlio, va a cercarli per assicurarsi che stiano bene, ma non li trova. Torna a casa dei suoi genitori, ma anche loro e il fratello minore sono scomparsi. Stephen viene preso dai militari, gli vengono tolti i documenti e i soldi e viene incarcerato. Rimarrà in carcere per tre anni prima di riuscire a scappare. Prova a ritornare nella casa dove viveva con la famiglia: lì incontra il proprietario dell’immobile che gli consiglia che ormai, dato che non gli è rimasto più nulla, e senza ormai notizie della famiglia, gli conviene andarsene e rifarsi una vita. Così Stephen intraprende il “viaggio della speranza” via mare. E’ luglio del 2015, arriva sulle coste italiane: viene trasferito dapprima nella sistemazione provvisoria della palestra di Presezzo, allestita per fronteggiare l’emergenza in corso, e poi nel Cas di Sotto il Monte. “Da quando sono arrivato ho frequentato la scuola di italiano del centro di accoglienza e ho fatto molte attività di volontariato. Nel frattempo ho aspettato il mio colloquio con la commissione che ha ascoltato la mia storia per la richiesta di asilo politico, ma la commissione mi ha dato una risposta negativa”. Mentre aspetta il ricorso dell’avvocato, riesce a trovare un piccolo lavoro, con un regolare contratto di prestazione occasionale. Il ricorso viene rigettato: gli operatori del centro di accoglienza scrivono allora una relazione chiedendo che, visto il suo impegno ad integrarsi sul territorio, e il suo essere un punto di riferimento positivo per gli altri migranti accolti, gli possa essere concesso il permesso di soggiorno per motivi umanitari. “Racconto la mia storia per incoraggiare i fratelli – continua Stephen -: se ci umiliamo, Dio ci eleverà. Il forte deve aiutare il debole, il ricco deve sollevare il povero, l’abile aiutare il disabile, il perdono deve sostituire il rancore, il progresso supera il passato, la condivisione sostituisce l’egoismo”.