Marguerite Yourcenar parlava del tempo come di un «grande scultore». Oggi, ricordando le diatribe che nel Cinquecento portarono alla frattura tra cattolici e protestanti, si è tentati di pensare che almeno in parte quei motivi polemici siano lontanissimi dal nostro modo di sentire e di credere. Il 31 ottobre del 2016, peraltro, prendendo parte in Svezia a una preghiera ecumenica di apertura delle celebrazioni per il 500° anniversario della Riforma, Papa Francesco ha riconosciuto «con gratitudine» che il protestantesimo ha aiutato anche i cattolici ad attribuire una «maggiore centralità alla Sacra Scrittura nella vita della Chiesa». In occasione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani – che quest’anno va dal 18 al 25 gennaio -, abbiamo posto alcune domande al pastore Fulvio Ferrario, decano della Facoltà valdese di Teologia di Roma e autore – con William Jourdan – del volume Introduzione all’ecumenismo, giunto alla seconda edizione per i tipi di Claudiana (pp. 159, € 13,50; tra gli altri libri di Ferrario, ricordiamo Il futuro della Riforma, pubblicato dalla stessa editrice, pp. 195, € 14,90).
Le questioni che cinque secoli fa hanno provocato la divisione tra la Chiesa cattolica e quelle evangeliche sono «datate»? Si possono derubricare a una serie di incomprensioni tra le parti?
«La mia risposta è: sì e no. Sì, nel senso che certamente il clima attuale non è improntato a sentimenti di contrapposizione né autorizza scomuniche reciproche tra le Chiese. D’altra parte, io non passerei sotto silenzio le differenze che permangono tra cattolici e protestanti, soprattutto a livello ecclesiologico: pensiamo alle diverse visioni del rapporto tra i ministri di culto e i laici, del ruolo delle donne (che in molte Chiese della tradizione riformata possono oggi essere nominate pastore) e ai differenti approcci ad alcune importanti questioni etiche. Quest’ultimo punto era stato giustamente menzionato anche da Papa Francesco, nel 2015, in occasione della sua visita al Tempio Valdese di Torino: in tale ambito, effettivamente, tra protestanti e cattolici “ci intendiamo poco”. Proprio per questo sarebbe importante dialogare, accantonando alcuni preconcetti: da parte evangelica, magari, si dovrebbe evitare un “complesso di superiorità” che induce a giudicare automaticamente gli altri “conservatori”; da parte cattolica, si dovrebbe forse abbandonare l’idea che i protestanti siano inclini a “svendere” i principi cristiani, conformandosi alla mentalità corrente».
Sul piano storico, le divisioni tra le Chiese possono essere spiegate con una concatenazione di fattori. Sul piano teologico, invece? Perché Dio ha permesso queste lacerazioni che agli occhi di molti rendono poco credibile la testimonianza cristiana?
«In una prospettiva teologica, mi pare inevitabile ricorrere ad Agostino e al grande tema del “peccato originale”. Nel disegno di Dio, infatti, la Chiesa è chiamata a essere una. La componente del peccato, quella che effettivamente dà scandalo, non consiste nella diversità di forme al suo interno ma nella loro contrapposizione, e pure nell’incapacità di riconoscere il valore testimoniale di altri stili ecclesiali. Questo è ciò che si è verificato nel Cinquecento, all’epoca della Riforma, in misura non piccola anche sul fronte protestante. Così, tra l’altro, si è giunti al paradosso per cui sono stati gli illuministi e i “miscredenti” a insegnare di ritorno a tutti noi, evangelici e cattolici, il valore della tolleranza: un principio morale che ha molto a che fare con l’Evangelo, ma di cui in gran parte ci eravamo dimenticati, strada facendo».
Una delle questioni più controverse tra Lutero, Calvino e i teologi cattolici del tempo era quella della «giustificazione»: a salvare gli esseri umani è solo la grazia di Dio o sono anche i meriti che essi acquisiscono mediante le «buone opere»? Questo punto costituisce tuttora un elemento divisivo tra protestanti e cattolici?
«No, ritengo che non lo sia più. La Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, sottoscritta nel 1999 dalla Chiesa cattolica e dalla Federazione luterana mondiale, ha avuto in questo senso un valore decisivo. Si tratta di un documento non facilissimo da leggere, ma un principio viene affermato in esso con grande chiarezza: Dio ci salva con la sua grazia, non per i nostri meriti; d’altra parte, la fede non può restare chiusa in se stessa, nell’animo del credente, ma deve tradursi all’esterno, in opere che rendano testimonianza a quanto si professa. Su questo tema, dunque, si è raggiunto un sostanziale consenso. Certo, si danno ancora differenti letture teologiche che sottolineano questo o quell’aspetto nel rapporto tra la grazia divina e la responsabilità umana. Però, di fronte agli enormi problemi da cui siamo sfidati oggigiorno (come il processo di scristianizzazione in corso in Europa), mi pare che questa diversità di accenti o di formule non dovrebbe essere al primo posto – né al secondo, né al terzo -, nella scala delle priorità del dialogo ecumenico».
Riguardo alla dottrina dei sacramenti: secondo un luogo comune, per i protestanti avrebbero un’importanza secondaria rispetto alla lettura della Bibbia, mentre i cattolici, all’opposto, vengono accusati di attribuire ai «segni sensibili della grazia» un valore quasi «magico».
«Sono convinto che tutti i luoghi comuni – anche quelli peggiori, purtroppo – abbiano in sé una particella di verità. Può essere che in alcune correnti del protestantesimo (penso per esempio a quelle che si richiamavano alla figura di Zwingli, il riformatore di Zurigo) sia prevalsa una visione dei “segni sacramentali” che oggi meriterebbe invece di essere approfondita e ampliata, in una prospettiva ecumenica. Occorrerebbe distinguere tra i linguaggi teologici che si sono andati cristallizzando nel corso di cinquecento anni e i “principi” che in tal modo si volevano affermare. Limitiamoci qui a considerare il Battesimo e l’Eucaristia: siamo tutti d’accordo che Dio agisce in questi sacramenti, e che agisce realmente (non ho problemi a usare questo avverbio: dovremmo ritenere, forse, che in questi segni Dio agisca “per finta”?). La sua azione è poi descritta, a livello teologico, in modi differenti, con categorie che sono sempre state molteplici nella storia della Chiesa. Questa diversità potrebbe mantenersi, senza sfociare in un’esclusione reciproca. Io ho studiato abbastanza approfonditamente la teoria della “transustanziazione” eucaristica in Tommaso d’Aquino: mi sentirei di dire che, come protestante, non la farei letteralmente mia oggi, ma credo di poterne capire e condividere la motivazione ultima. Un dissenso effettivo tra riformati e cattolici permane riguardo all’Eucaristia, riferito però non alla natura del sacramento, ma a chi sia autorizzato a celebrarlo: secondo la dottrina cattolica, come è noto, solo i presbiteri possono consacrare il pane e il vino; di conseguenza, quella celebrata da noi protestanti, che non abbiamo un corrispettivo del sacerdozio ordinato, non sarebbe un’Eucaristia in senso proprio».
Quali «modelli» risultano oggi più promettenti, per il dialogo ecumenico? Negli anni Ottanta del secolo scorso, per esempio, i teologi cattolici Heinrich Fries e Karl Rahner avevano sostenuto che una piena riconciliazione tra le Chiese sarebbe possibile da subito, sulla base comune della Scrittura e delle antiche professioni di fede della cristianità indivisa. Secondo Fries e Rahner, basterebbe che le singole Chiese si astenessero dal contestare come «antievangeliche» quelle dottrine ritenute dalle altre vincolanti.
«Il modello da lei citato presenta alcuni grandi vantaggi: tra l’altro, consentirebbe di ritornare criticamente su diversi punti che in passato hanno alimentato contenziosi non molto giustificati. Per esempio, la devozione cattolica od ortodossa per Maria potrebbe essere riconsiderata da parte protestante in chiave non polemica, riconoscendo che non si tratta necessariamente di un elemento spurio, nell’ambito della fede cristiana. In altri termini: non passa certamente da qui la linea divisoria tra una fede autentica e l'”idolatria”, anche se noi protestanti siamo inclini a rapportarci diversamente alla figura di Maria di Nazaret. Detto questo, è pure vero che, nell’attuale momento storico, nessun modello per un dialogo ecumenico è applicabile fino in fondo. Bisogna prendere atto di un’asimmetria nei rapporti tra le Chiese: in linea di principio la teologia protestante, pur ritenendo biblicamente fondata la propria comprensione della Chiesa e dei ministeri, non ha alcuna difficoltà a riconoscere anche nel cattolicesimo romano e nell’ortodossia espressioni piene, legittime dell'”unica vera Chiesa” di Gesù. Purtroppo, la cosa non è reciproca. Questo costituisce un blocco al momento insuperabile, nel cammino verso una piena riconciliazione ecclesiale. A mio modo di vedere, perché questo percorso possa continuare, sarebbe bene che le Chiese parlassero un po’ meno di loro stesse e delle rispettive strutture, riportando invece in primo piano ciò che costituisce la ragione essenziale della loro esistenza, l’annuncio di Gesù Cristo».