Cattolici, campagna elettorale, elezioni politiche

Gli ammonimenti del card. Bassetti alla recente riunione della CEI sono  parole sante. Ma, coi tempi che corrono, spesso le parole sante sono le meno ascoltate. Il rischio c’è anche stavolta.

Parole sante e inascoltate

Soprattutto rischiano di non ascoltarle quelli che per primi dovrebbero ascoltarle, e cioè i cattolici. Questi hanno ampiamente maturato la convinzione che in politica non esiste una posizione univocamente “cattolica”. Si può essere cattolici di destra o di sinistra. Si può essere cattolici votando Berlusconi, o D’Alema. Vero, in fondo. Ma la conclamata libertà di voto pone un problema semplice semplice: l’essere credenti “serve” a qualcosa quando si fa politica? O la fede è una semplice patina che rende semplicemente più attraente quello che già lo è di suo?

In effetti alcune delle raccomandazioni del Presidente dei vescovi dovrebbero far riflettere. Ad esempio: il non cedere a promesse tanto mirabolanti quanto impossibili da mantenere, il non cedere alla “cultura della paura”, l’attenzione ai poveri… Dovrebbero essere, quelle, delle istanze che i cattolici si portano appresso, qualunque sia il partito al quale danno il loro voto.

La fede e la “distanza critica” dalla politica

Il rischio è che la fede, invece di far prendere la distanza da posizioni politiche negative, sia usata per dare ancora più forza a quelle posizioni. Molti cattolici “benedicono” il loro partito invece di guardarlo criticamente. Molti cattolici sbandierano la loro fede per dirsi in disaccordo con il Papa e, adesso, anche con il cardinal Bassetti. Per cui, invece di usare la fede per unire il paese, la si usa per dividerlo ancora di più.

Insomma, il 4 marzo i cattolici non contribuiranno soltanto a dare una maggioranza politica al Paese, ma anche a modellare il volto della Chiesa della quale fanno parte.