La storia Kay, una donna alla guida del Washington Post: un esempio di tenacia e coraggio

«Kay, – dice il consigliere finanziario Arthur Parson – li preoccupa che ci sia una donna a capo del giornale che possa non avere fermezza per le decisioni difficili» riferendosi al consiglio di amministrazione. Nel film “The Post” di Steven Spielberg, Katharine Graham (Meryl Streep), editrice del “Washington Post”, il più diffuso e antico quotidiano della capitale statunitense, si trova sola di fronte a un bivio. Pubblicare o meno i “Pentagon Papers”, documento top secret, che rivela i segreti e le bugie del governo americano nei confronti della guerra del Vietnam?
Washington 1971.
Più che mai certo che “la sporca guerra” condotta in Vietnam dagli Stati Uniti sia un pantano senza via d’uscita e quindi costituisca una sciagura per la democrazia, Daniel Ellsberg, economista e uomo del Pentagono, divulga una parte dei documenti di un rapporto segreto. Settemila esplosive pagine che dettagliano l’implicazione militare e politica degli Stati Uniti nella guerra del Vietnam. Ecco nero su bianco le manovre attuate dal governo americano attraverso quattro presidenti che dimostrano come le diverse amministrazioni entrate nello Studio Ovale avessero mentito ai cittadini, nascondendo un fatto che ormai era davanti agli occhi di tutti: la guerra in Vietnam non si poteva vincere. È il “New York Times” il primo a rivelare il caso, ma al quotidiano viene subito impedito a proseguire la pubblicazione da un’ingiunzione della Corte Suprema.
Ben Bradlee (Tom Hanks), spregiudicato direttore del “Post”, convinto che “la libertà di stampa protegge le persone! Non serve chi governa, ma chi è governato”, riuscito a ottenere gli stessi documenti propone alla sua editrice di pubblicarli. Nel frattempo Richard Nixon minaccia ritorsioni e sanzioni contro il “Post” proprio nel momento in cui il quotidiano è alla vigilia di un’importante operazione finanziaria. A rischio ci sono molti posti di lavoro, perché la sopravvivenza dello stesso quotidiano è in pericolo. Il momento è nodale per Katharine Graham, ottima amica di presidenti e politici, primo tra tutti il Segretario alla Difesa McNamara, che ha ereditato il gioiello di famiglia dal defunto marito. Eugene Meyer che aveva comprato il “Washington Post” nel 1933, salvandolo dalla bancarotta, aveva lasciato non a una dispiaciuta figlia, ma al genero la proprietà del “Post”. È la stessa Kay a raccontarlo nell’autobiografia, “Personal History”, Premio Pulitzer 1998. Dopo una lunga malattia che l’aveva condotto all’alcolismo, Philip Graham si uccide.
Nel 1954, Katharine assume la guida del “Washington Post”, diventando anche la prima donna a capo dell’Associazione americana degli editori di quotidiani. Dunque l’ultima parola spetta a Kay, la quale sfoderando un grande coraggio e una forte determinazione, sfida lo stesso establishment nel quale è nata e del quale si è nutrita, decide di pubblicare i “Pentagon Papers” difendendo i propri cronisti dagli attacchi e assumendosi tutti i rischi. Ovvio che il caso finisca di fronte alla Corte Suprema, che però dà ragione al “Post”, facendo suo il Primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti che garantisce la terzietà della legge rispetto al culto della religione e il suo libero esercizio, nonché la libertà di parola e di stampa.
Ancora una volta Spielberg rievoca un momento fondamentale del passato americano, leggibile come metafora e monito della politica attuale “made in USA”. Con la sua cinepresa sempre in movimento il regista ritrae i “duetti” tra Bradlee, Graham e la redazione del “Post” in fermento, che fanno capire come si lavorava un tempo in un giornale prima dell’avvento delle nuove tecnologie. Se Tom Hanks è il perfetto prototipo del giornalista mastino innamorato del proprio lavoro, Meryl Streep è perfetta nel dare corpo e anima ai gesti misurati e all’incedere esitante che caratterizzano il suo personaggio. Katharine Graham, donna dal passato doloroso, all’inizio indecisa, vulnerabile, chiamata a un ruolo di responsabilità in un mondo dominato dagli uomini, condizione che continua immutata ancora oggi. La pellicola non è solo un serrato confronto tra potere mediatico e quello politico ma è soprattutto un racconto di coraggio femminile.
«La figura di Katharine Graham è ancora oggi attuale, perché è stata una donna coraggiosa in un tempo in cui non poteva per niente essere sicura della propria posizione» ha dichiarato Streep in una recente intervista. Nell’America di Donald Trump giudicato un presidente sessista che ha bollato l’artista come “attrice sopravvalutata e lacchè”, e nel pieno del caso Weinstein ricordiamo che Meryl Streep (candidata per questo ruolo come Migliore attrice Protagonista) è una delle protagoniste di Hollywood più impegnate. La Streep è una delle tante attrici che hanno aderito all’iniziativa “Time’s Up” lanciata con una lettera aperta sul “New York Times” e sul giornale in lingua spagnola “La Opinion” per creare un fondo di difesa legale a sostegno di donne che hanno a che fare con molestie sessuali nelle varie industrie. Inoltre la grande attrice americana ha invitato le sue colleghe a indossare vestiti neri durante l’ultima cerimonia di consegna dei “Golden Globes” in segno di protesta contro l’ineguaglianza sessuale e per sottolineare l’ondata di accuse e abusi sessuali che hanno sconvolto Hollywood.
La Streep approverà, ne siamo certi, la recente iniziativa di 124 registe, produttrici, donne che lavorano nella comunicazione dello spettacolo italiano, che hanno sottoscritto una lettera manifesto “Dissenso comune” che muove dal caso Weinstein. “La molestia sessuale è fenomeno trasversale. È sistema appunto. È parte di un assetto sotto gli occhi di tutti, quello che contempla l’assoluta maggioranza maschile nei luoghi di potere, la differenza di compenso a parità di incarico, la sessualizzazione costante e permanente degli spazi lavorativi”. Un testo che non vuole puntare il dito contro un singolo “molestatore” ma che nasce per contestare l’intero sistema di potere.