‘L’affondo” è una nuova rubrica del santalessandro. Vorrebbe essere una specie di piazza virtuale, dove si dice quello che si pensa, con l’unico limite che si pensi a quello che si dice. Vorremmo parlare di problemi che ci sentiamo incollati addosso, citare fatti e nomi, confrontarci e scontrarci. Senza avere paura della polemica, purché sia onesta e intelligente.
“Il mio parroco, domenica scorsa, ha fatto un’omelia di fuoco… Contro vescovo, superiori, curia. Sa, gli hanno portato via il curato…”. Mi dicono anche il nome del parroco e del paese. Diciamo che non è un paese della Patagonia: un po’ più vicino.
Perché dal pulpito. Condivisione o protesta per lesa maestà?
Il fatto, enunciato così, nella sua crudezza, merita qualche commento, qualche domanda, più che altro. Perché “dal pulpito”? Lasciamo stare il discorso che anche i superiori hanno diritto a qualche forma di rispetto: discorso vecchiotto, come tutti sanno. Dunque non lo facciamo, proprio perché vecchiotto. Soltanto, una così clamorosa messa in pubblico di una denuncia dovrebbe presupporre che in quella parrocchia si mette tutto in comune. Il parroco, che mette in comune tutto, ha sentito la necessità di mettere in comune anche quella notizia, così importante: ci hanno portato via il curato. Ma è solo un’ipotesi. Perché potrebbe darsi, invece, che in realtà in quella parrocchia il parroco decide molto, quasi tutto, da solo. Potrebbe darsi che Consiglio parrocchiale e Consiglio per gli affari economici siano più decorativi che altro. Se quest’altra ipotesi fosse quella vera, la protesta non sarebbe perché il curato è stato portato via ma perché lui, il parroco, non ha deciso. Delitto di lesa maestà, dunque. Il parroco che fa tutto non ha fatto nulla in un evento di quella portata.
Il sospetto aumenta anche perché l’omelia, mi hanno detto, non solo era “dal pulpito”, ma “di fuoco”: un’accusa, dunque, contro tutti quelli che stanno sul colle: vescovo, curia e superiori di vario livello (nota di redazione: in quella città, un po’ più vicina della Patagonia, è probabile che vescovo e curia abitino su un colle).
Non meravigliamoci: vescovi e dintorni sono sempre stati oggetto di critiche da parte dei preti. Comprensibilissimo. La novità relativa di quest’ultima critica è il clamore del modo scelto: l’omelia della messa. Dunque quel parroco ha trasformato un disagio in un’accusa e l’accusa in un evento liturgico.
Di quella messa è rimasto solo il ricordo della rabbia del parroco
Ho cercato di fare mente locale. Di quella messa che cosa sarà rimasto nella testa e nel cuore di chi c’era? La Parola di Dio, il Vangelo, il mistero dell’eucarestia…? No, è sicuro, niente di tutto quello. È rimasta, invece, vivissima, la rabbia del parroco. Se poi quel parroco avesse deciso la sua omelia senza parlare con il suo Consiglio Pastorale, con il suo Consiglio dell’Oratorio (si trattava del problema curato, infatti) allora il cerchio sarebbe perfetto: la Chiesa è il parroco e l’unico rapporto ecclesiale che conta è quello con il vescovo e i suoi collaboratori: un puro rapporto di potere e, nella fattispecie, uno scontro di potere. Da quell’omelia di fuoco emana un acuto lezzo di clericalismo, distillato, allo stato puro.
Forse è successo tutto in Patagonia
Ho reagito alla scarna notizia che mi è stata riferita. Solo su quella. Ipotesi sull’ipotesi: magari la notizia era falsa. Magari il parroco in questione ha semplicemente comunicato la notizia, ha detto che gli dispiaceva moltissimo, che ne aveva parlato nel Consiglio Pastorale e nel Consiglio dell’Oratorio, che tutti erano d’accordo nel fare di tutto perché l’Oratorio potesse continuare a vivere e a vivere bene.
Se questa seconda ipotesi è vera allora è sicuro: la parrocchia con il parroco e la sua omelia di fuoco era proprio una parrocchia della Patagonia. Povera Patagonia.