Papa Francesco e la sua «Chiesa in uscita». Antonio Spadaro: «Il Vaticano sta cambiando la politica globale»

“Il Vaticano sta cambiando la politica globale” suggerisce il sottotitolo del saggio “Il nuovo mondo di Francesco” (Marsilio Editore 2018, Collana “Nodi”, pp. 208, 17 euro), dove Antonio Spadaro, tra gli altri, ricostruisce le strategie attraverso cui Francesco e la sua “Chiesa in uscita” stanno mutando radicalmente il confronto sugli equilibri mondiali. L’opera si compone di ventidue autorevoli interventi accanto a Padre Spadaro, di commentatori delle vicende politiche vaticane e non (tra i quali citiamo Luigi Accattoli, Gianni Valente, Orazio La Rocca, Giulio Albanese, Alberto Bobbio, Enzo Romeo, Massimo Faggioli, Giovanna Chirri, Jacopo Scaramuzzi, Giacomo Galeazzi e molti altri ancora).

In un viaggio attraverso il Mediterraneo e l’Europa, gli Stati Uniti, l’Oriente e l’Africa, vengono raccontate le sfide di un cambiamento e di una discontinuità reale, e si delinea la rivoluzione di un Papa che contrappone una civiltà del dialogo e dell’incontro all’inciviltà dello scontro, inaugurando così una nuova stagione di politica e diplomazia. Padre Antonio Spadaro, nato a Messina il 6 luglio 1966, gesuita, teologo, direttore della storica rivista “La Civiltà Cattolica”, molto vicino a Papa Francesco, da noi intervistato ci dichiara: «Francesco sembra essere l’unica figura di garanzia che abbiamo presente nel contesto internazionale».

Padre Spadaro, sono trascorsi quasi cinque anni del pontificato di Papa Francesco, giudicato “rivoluzionario”. Trova corrispondente questa definizione del pontificato di Bergoglio?

«La definizione è interessante. Una volta chiesi al Pontefice se lui volesse fare la riforma nella Chiesa e Bergoglio mi rispose di no. Mi disse che lui vuole mettere Cristo sempre più al centro della Chiesa, perché Lui faccia le riforme. In questo senso è rivoluzionario: capovolge la prospettiva che diventa non prevedibile o legata a schemi ideologici predefiniti o astratti. Il termine “rivoluzione” in sé può essere adeguato ma può anche essere privo di contenuto. Personalmente trovo che il termine “riforma” sia quello più conforme a Francesco, perché implica non una scintilla fulminea ma un atteggiamento costante, non un colpo immediato, qualcosa che dura nel tempo e che si compie nella durata e dunque mette radici profonde. Francesco, del resto, è un Papa più di semina che di raccolta».

Per quale motivo Bergoglio è ormai considerato uno dei pochi leader politici credibili, se non l’unico, anche da parte di chi non è cattolico o cristiano?

«Assistiamo a questo fenomeno per cui il Papa viene ascoltato da molti, anche da persone non cattoliche e non cristiane. La presenza di Papa Francesco ha un effetto significativo nelle dinamiche politiche e anche culturali, che si osservano nel mondo. Il volume vuole esserne la prova. Certamente guardando al panorama internazionale le figure che hanno un rilievo, un peso moralmente significativo, sono davvero poche, e probabilmente quella di Francesco è l’unica che ha un impatto internazionale esteso. Questo perché il messaggio che lui comunica è un messaggio che offre vie d’uscita alla crisi globale, allo stallo che stiamo vivendo. Le figure che emergono a volte emergono perché tutelano interessi particolari, nazionali o di gruppi. È difficile oggi trovare figure capaci di guardare al mondo intero, di avere uno sguardo globale, di parlare a tutti. Soprattutto è difficile trovare leader internazionali interessati ai dialoghi multilaterali, che non siano semplicemente dialoghi bilaterali tra le nazioni».

Nelle pagine introduttive al testo scrive che “la misericordia politica di Bergoglio ha una forte radice teologica, evidentemente, e si fonda su una radice essenziale: il volto di Dio”. Desidera chiarire la Sua riflessione?

«La prospettiva di Francesco è pastorale e teologica. Francesco non è un politico, è il Papa. Ovviamente la sua azione e visione del mondo ha anche delle dinamiche politiche fatte da una visione teologica. Questa visione è di un Dio di Misericordia. Bergoglio è convinto che questa Misericordia di Dio sia presente e attiva nel mondo e l’uomo debba in qualche modo renderla presente. Concretamente questa visione teologica s’incarna nella convinzione che non bisogna mai dare nulla per perso. Lì dove c’è una tensione, questa può essere superata, dove c’è un muro può essere abbattuto. E non bisogna avere timore dei conflitti bisogna attraversare le contraddizioni. Questo è l’effetto concreto della visione di Misericordia di Francesco, cioè non si può dare mai nulla per perso nei rapporti politici tra le Nazioni, tra i Paesi, tra i popoli».

Nel corso del suo pontificato, il pontefice argentino si è recato presso innumerevoli periferie geopolitiche e sociali, luoghi di degrado umano, sociale e ambientale. È anche questo un modo per mettere Cristo al centro del mondo?

«Assolutamente sì. Francesco ha uno sguardo molto ampio che privilegia soprattutto i luoghi che vengono considerati “periferici”, ma in realtà sono i luoghi in cui si comprendono meglio le dinamiche di sviluppo del mondo, dove vi sono semi attivi, che devono crescere, ma che sono importanti. Francesco vuole toccare con mano, anzi ha toccato fisicamente i luoghi di degrado umano, sociale e ambientale. Il Papa ha toccato spesso periferie e confini, ha toccato muri, per esempio quello di Betlemme, la frontiera di Ciudad Juárez, al confine tra Messico e Stati Uniti. Così come è stato in Corea, un Paese unico, che “parla la stessa lingua madre”, come dice il Papa, ma è diviso in due. Francesco è stato a Lampedusa, a Lesbo, in Sri Lanka, in Myanmar e Bangladesh, ha toccato i luoghi dove ci sono vari tipi di divisioni, di povertà o di tensione. In questo senso Bergoglio rappresenta la figura di Cristo, perché vuole essere un ponte, vuole rappresentare un’occasione di riconciliazione, lì dove invece ci sono tensioni e divisioni».

Papa Francesco nel suo discorso d’inizio anno, tenuto in occasione dell’udienza al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, sul fenomeno delle migrazioni ha detto: “Occorre uscire da una diffusa retorica sull’argomento e partire dalla considerazione essenziale che davanti a noi ci sono innanzitutto persone”.  Perché, come scrive Enzo Romeo nel volume, “sono tanti gli equivoci interpretativi, alimentati da certa stampa, che bolla il Papa come un oltranzista dell’accoglienza a tutti i costi, scriteriata e deleteria, sia per chi fugge sia per chi ospita”?

«Normalmente oggi si cerca di ottenere consenso, anche di tipo politico, evidenziando molto la paura, anzi creandola, creando dei mostri in qualche modo e inquietando le persone. È il caso delle migrazioni. In questo senso il discorso del Papa si fa scomodo, perché Bergoglio mette al centro le persone. Il messaggio di Francesco è che bisogna aver presenti non “problemi” ma “persone”. Mettendo radicalmente al centro la persona umana è chiaro che la prospettiva cambia. Ma a volte questa prospettiva politicamente non rende. Si vuole far prevalere la paura Nel momento in cui il Papa guarda alle persone, considerandole non come una categoria astratta, questo crea problema».