Le elezioni del 4 marzo. Le dure sconfitte del PD, al Nord e al Sud

Renzi, lo sconfitto. Ma il problema del PD non è solo Renzi

Al Nord. Il PD in ritardo

Al Nord, la domanda prevalente è stata quella del controllo dell’immigrazione e quella della sicurezza. A prima vista, pare paradossale: perché la Lombardia è, dopo l’Emilia Romagna, la regione che accoglie, integra e fa lavorare il maggior numero di immigrati. L’unico senatore italiano di pelle nera, Toni Iwobi, 62 anni, di origini nigeriane, è stato eletto nella Lega, a Bergamo. Ma l’accumulazione di seicentomila clandestini, a causa di una scriteriata politica di accoglienza, di cui Alfano – ben sostenuto dagli estremisti umanitari – è stato il primo responsabile, ha generato paure e insicurezza, soprattutto nelle città e nelle loro periferie.

Ma la reazione principale è stata ed è quella del fastidio e del disagio. Per una diffusa etica del lavoro è difficile accettare l’accattonaggio davanti ad ogni centro commerciale, ad ogni parcheggio, il dolce far niente di decine di giovani, che bighellonano per le strade dei paesi e delle periferie. E per una diffusa etica del dovere, è difficile accettare solo il discorso sui diritti. Alle élites metropolitane intellettuali e laiche piacciono moltissimo i diritti. Alle non-élites delle periferie e della provincia interessano anche i doveri, compresi quelli degli immigrati.

Il governo del PD ha pagato la solitudine, in cui è stato lasciato dall’UE, anche a seguito del Trattato di Dublino sull’immigrazione, firmato nel 2003 dal governo Berlusconi. Quel trattato conteneva una clausola occulta: l’accordo politico con Gheddafi, che tratteneva gli immigrati di passaggio in orribili campi di concentramento. Caduto Gheddafi, il controllo dei campi è passato direttamente alle milizie tribali e alla criminalità organizzata, che li hanno trasformati in magazzini di merce umana da sfruttare e da rilasciare, in cambio di denaro.

Tuttavia, quella dell’immigrazione non è l’unica frontiera maledetta del PD al Nord. Il Nord produttivo chiede un abbassamento delle tasse, essendo popolato da decine di migliaia di piccole imprese, aperte ai mercati mondiali e all’esportazione, rivendica la riforma della Pubblica amministrazione. Insomma: chiede che lo si lasci lavorare e produrre, senza ostacoli burocratici. Il PD ha proposto il Jobs Act, ma solo un lieve abbassamento delle tasse e una riforma del tutto insufficiente della Pubblica amministrazione. Probabilmente troppo poco o troppo tardi rispetto alla lunga accumulazione di rabbia e di sfiducia.

Al Sud. Il PD e le clientele

Al Sud, la storia è del tutto diversa. Passano i decenni, ma il Sud continua ad essere prigioniero di una condizione di sottosviluppo assistito, corrotto, criminogeno. La classe dirigente che esso democraticamente elegge lo rispecchia simmetricamente, al di là delle sigle, delle culture politiche, dei partiti. I tratti antropologici degli eletti sono gli stessi degli elettori. Le Regioni Puglia, Campania, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna sono state a turno governate negli ultimi vent’anni dalla destra e dalla sinistra: ciascuna forza ha promesso il riscatto e lo sviluppo.

Seconda la retorica meridionalistico-lamentosa e autocommiserante il Sud sarebbe stato lasciato solo. In realtà, sono arrivati dall’Europa e da Roma molti miliardi di Euro, sia nel settore produttivo privato sia, soprattutto, nel settore pubblico e negli Enti locali. Molti soldi non sono stati spesi per pigrizia e inefficienza; molti hanno preso la strada dei canali clientelari. D’altronde, essere eletti è un investimento e un mestiere, non solo per gli altissimi stipendi di cui godono gli eletti locali e regionali, ma, soprattutto, perché l’eletto si insedia al punto di intercettazione del fiume di risorse che fluiscono verso il basso. Che questa gestione dei soldi pubblici condanni al sottosviluppo e alla disoccupazione i giovani serve soltanto per poi utilizzarli come scudi umani nella battaglia/ricatto per avere altri finanziamenti.

Non hanno interesse all’autosviluppo. La proposta del reddito di cittadinanza del M5S è la continuazione della Cassa del Mezzogiorno con altri mezzi. Ora, si è passati all’idea dello stipendio personale per disoccupati. Più semplice ed elegante da amministrare dei pacchi di pasta laurini o della scarpa destra cui abbinare quella sinistra dopo il voto. In questi giorni già si vedono le file comico-tragiche di giovani che chiedono ai CAF i moduli da compilare per accedere al reddito di cittadinanza.

Perché il PD è stato sotterrato al Sud?  Perché la sua classe dirigente non si è discostata di molto dai comportamenti di quella che ha sostituito. Stesso clientelismo, stessa chiusura autoreferenziale, coperta da primarie farsa. Quando le posizioni elettive e di potere non sono contendibili, quando la partecipazione è una minaccia, allora le élites diventano caste. Se D’Alema, in tempi non lontani, aveva denunciato il contropotere locale dei cacicchi, Renzi aveva minacciato di usare il lanciafiamme. A quanto pare, o ha finito il combustibile o si è bruciato i piedi. Alle domande di legalità e di sviluppo la sinistra locale non ha dato risposta. La sinistra deve decidere se rispecchiare passivamente la società che c’è – la società dell’assistenzialismo parassitario, delle raccomandazioni, delle relazioni amicali – o proporsi con comportamenti che alludano ad una società della legalità e dello sviluppo. Il PD meridionale ha scelto la prima strada, a fondo cieco.

Il PD Cristo e Cireneo?

L’analisi dei risultati elettorali, dei flussi, della composizione sociale dell’elettorato – fatta dall’Istituto Cattaneo e dall’IPSOS – conferma che il vecchio impianto socio-elettorale del PCI e della DC si è dissolto. A Milano, il PD è il primo partito nel centro della città, ma perde in periferia. Lo stesso a Napoli. Viceversa, l’elettorato del M5S e della Lega è un elettorato trasversale socialmente, culturalmente e territorialmente: sono diventati “partiti della nazione”.

Quando Renzi lo propose, fu subissato dai sarcasmi dalemiani. La cultura/illusione che ispirava le malaccorte ironie era che la sinistra ha la sua base sociale permanente e garantita nella classe operaia, nel lavoro dipendente privato e pubblico e in un ceto intellettuale accademico e giornalistico. È la sinistra del ‘900. È il lascito ideologico della sinistra socialista e socialdemocratica europea e di quella che riempie tutt’oggi le redazioni dei giornali e delle TV. Renzi ha provato ad andare oltre, in direzione di una sinistra liberale, di ispirazione cattolica, socialista, laica, ecologista. Si trattava di operare una rapida mutazione genetica socio-culturale. È stata troppo lenta, timida, tardiva e ostacolata, fino alla scissione, dalla classe dirigente di un partito ancora in gran parte appeso al ‘900.

In questi giorni, alcuni grandi giornali – Corriere della Sera e Repubblica – hanno operato una pressione straordinaria sul PD per spingerlo all’alleanza di governo con il M5S. Sarebbe, secondo Scalfari, la nuova sinistra (sic!)! Anche Confindustria spinge in quella direzione. A quanto pare, secondo questo nucleo d’acciaio della classe dirigente del Paese – i poteri forti? – le elezioni sono state una recita buona solo per elettori-gonzi. Il M5S e la Lega hanno annunciato programmi molto simili tra loro su alcuni punti essenziali – Europa, Euro, pensioni, Jobs Act, Art. 18 – e del tutto opposti a quelli del PD.

Questa classe dirigente vorrebbe che i partiti fossero infedeli rispetto ai propri elettori e si rimettessero tutti insieme appassionatamente. Il Pd, in particolare, dopo aver fatto il Cristo che porta la croce del governo, ora dovrebbe continuare a portarla come Cireneo. Tutto a ciò a beneficio di una classe dirigente vile, immobile, conservatrice. D’acciaio? No, di latta.