I risultati elettorali arrivano sempre in anticipo rispetto alla nostra capacità di decifrare quello che accade nella mente delle persone. Come la nottola di Minerva, i nostri pensieri si levano in volo solo quando gli eventi sono già accaduti. Solo che, a quel punto, nella politica prende il volo un’aspra e rissosa verbigerazione di mille accuse e controaccuse, che i mass media in parte riproducono e in parte producono.
La percezione del mondo cambia il mondo
Certo è che le scelte politico-elettorali riflettono mutamenti del mondo e della percezione del mondo, forse più decifrabili con le categorie della psico-socioanalisi. Dalla quale possiamo almeno raccogliere l’invito a uscire dall’oscillazione tra una posizione schizo-paranoide e una depressiva nella lettura dei dati. Con un’avvertenza epistemologica: quando la percezione del mondo assume il carattere visibile e di massa dei risultati elettorali, essa cambia il mondo, ne diventa parte. Una nuova coscienza del mondo genera un nuovo mondo. Così il mondo digitale, la coscienza digitale, l’antropologia digitale – l’homo digitalis – producono dei cambiamenti profondi nella mente, nella percezione di sé e dell’altro, che la politica, alla fine, ne viene segnata irreversibilmente.
La prima conseguenza, che Antonio Pilati ha messo in evidenza, è che nella nuova semiosfera digitale ciascuno diventa “fonte”; non è più solo utente o destinatario terminale, bensì è generatore di messaggi, cioè di verità. È qui che incomincia la disintermediazione come dinamica socio-culturale dominante. Ciascuno diventa creatore. Che poi si rigeneri a livello 2.0 una nuova forma di intermediazione – di cui il paradigma e il motore sono Facebook e i social-media – è un fatto. Ma essa lascia intatta l’apparenza del protagonismo assoluto dell’Io, ne alimenta il solipsismo e il senso di onniscienza/onnipotenza. L’Io, cioè la sua biografia, le sue emozioni, le sue passioni, si pone al centro dell’universo. Le sue pulsioni, la sua libido diventano la misura del mondo e di ogni altro Io. La socialità è ridotta alla comunicazione unilaterale dei propri stati d’animo. Se io sono la fonte, tutti gli altri sono solo terminali. Dal principio di realtà al principio di egoità. Lo slogan “Dio c’è!” che fino a non molto tempo fa si poteva intravedere tracciato a caratteri cubitali su qualche muro delle nostre città è oggi sostituito dall’“Io c’è!”, scritto con vari font digitali nella mente di milioni di persone. L’onniscienza: basta uno smartphone per accedere all’intero sapere dell’umanità. Il sapere ci circonda da ogni lato come la radiazione fossile. Il sapere è tutto a tua disposizione. Non hai più il problema dell’accesso, ma semmai quello opposto di non esserne travolto, senza filtri o dighe di protezione. Perciò il mondo è a portata di mano.
L’altro cade, finisce la responsabilità, cade la politica
Per riprendere una distinzione heideggeriana tra Vorhandensein e Zuhandensein, le cose non ti stanno più davanti, diventano manipolabili, appunto a portata di mano. Quello che appariva ad Heidegger l’incubo peggiore – la tecnica, sia nella versione capitalista democratica o nazista sia in quella comunista – la digitalizzazione sembra avere realizzato. Gli effetti della sindrome di onniscienza/onnipotenza sono molteplici e convergenti. Sono erose le comunità, le relazioni vengono declassate a strumenti dell’Io, cade il senso di responsabilità. “Responsabilità” significa, in una prima originaria accezione, “concludere un patto e rendersene reciprocamente garanti”, con gli dei in Grecia, con altri uomini nel diritto romano. Se l’Altro cade, con chi si fanno patti? E poiché la politica è il luogo dove le comunità e i singoli patteggiano a vicenda e si garantiscono, cade la politica o, per peggio dire, viene avanti una nuova politica: quella hobbesiana dell’odio di tutti contro tutti. L’individuo cessa di essere persona, nel senso che l’individuus non è più aperto al soffio dell’altro, come invece vuole la nota definizione di persona di Severino Boezio e di San Tommaso d’Aquino. Nasce tutto da Internet? Se così fosse, sono quella parte di umanità che vi accede sarebbe coinvolta nelle dinamiche appena descritte.
Il fatto è che la digitalizzazione si intreccia con la globalizzazione economica e sociale. L’erosione delle comunità di destino – famiglia, città, nazione – non è soltanto un processo mentale, che comunque sottoproduce effetti sociali, è anche l’effetto di uno scavalcamento delle frontiere nazionali ad opere di enormi forze economico-finanziarie, che hanno trovato nel supporto digitale un potente motore. Digitalizzazione e globalizzazione sono sorelle siamesi.
I cosmopolisti e i nazionalisti, i M5S e la Lega
C’entra tutto ciò con la politica e con le elezioni negli Usa, in Russia, in Cina, in Europa e in Italia? La reazione dei cittadini al vento di bora che proviene da ogni parte li ha collocati e divisi lungo i due versanti della faglia. C’è una minoranza che asseconda la spinta del vento global-digitale: sono i cosmopolisti. C’è una maggioranza che vi resiste: sono i comunitaristi/nazionalisti. È una scissione che attraversa le singole persone, le comunità, le nazioni. Per un verso, il fascino di un pianeta non più attraversato da fili spinati, di un pianeta come unica vera comunità di destino dell’umanità; per l’altro verso, l’angoscia della dissoluzione dei legami, la paura della perdita delle radici e dell’alterazione socio-culturale del proprio paesaggio, dovuta allo spostamento di grandi masse umane.
I sistemi politici sono attraversati da questa faglia. Su un versante nascono “partiti dei cittadini-individuo”, sull’altro crescono “partiti dell’appartenenza/comunità”. Il M5S si presenta come il partito dei cittadini-individuo, il partito-fai-da-te, che non ha bisogno della mediazione politica, basta l’algoritmo meccanico. La Lega di Salvini è invece il partito dell’appartenenza nazionale come Trump, Putin, Le Pen. È il partito della protezione e della sicurezza. In relazione a questo fatto, la definizione di populisti appare poco esplicativa, o, quantomeno, essa vale solo per la carica destruens rivolta contro le classi dirigenti forze politiche tradizionali, ma non certo per la teoria e la pratica della politica. PD e Forza Italia sono, in questo contesto, le forze politiche tradizionali, attraversate dalla stessa linea di frattura, ma incapaci di una difficilissima sintesi, tra individualismo radicale e appartenenza comunitaria. E così sono apparse all’elettorato: né calde né fredde e perciò vomitate, secondo la cruda previsione dell’Apocalisse, dagli elettori. Macron si trova alle prese con gli stessi dilemmi: partito della globalizzazione e insieme della Francia protesa verso l’Europa come comunità di culture e di popoli. Il guaio è che l’Europa attuale è quella dei governi, che usano l’Europa micro-federale di Bruxelles come foglia di fico e parafulmine dei conflitti intergovernativi. Insomma: anche l’Europa non è né calda né fredda. Uno sguardo, solo relativamente consolatorio, sulla storia umana mostra un’oscillazione pendolare tra epoche cosmopolitiche-imperiali e epoche comunitarie (tribù, etnie, nazioni). Non se ne può indurre nulla per il nostro futuro prossimo. Ci si può solo limitare a constatare, nel presente, quanto sia povera e meschina la discussione post-elettorale degli sconfitti. Almeno finché non facciano i conti con ciò che si muove non nella pancia del Paese, ma nella sua mente.