Il mio parroco è un brontolone nato. Se la prende spesso con vescovo e curia. Qualche volta mi pare che abbia ragione. Tu cosa pensi del “diritto di critica” nella Chiesa? Lorenzo=
Caro Lorenzo, l’atteggiamento del tuo parroco non è unico, ma è di tante altre persone presenti nel mondo ecclesiale, nelle parrocchie, negli istituti religiosi e, non ultimi, nei laici. La critica sembra essere coinvolgente e diffusiva. Ciascuno, in base alla propria conoscenza e saccenza, ha sempre pareri, visioni profetiche o soluzioni migliori da anteporre a coloro che esercitano un servizio di autorità o svolgono un ruolo di responsabilità.
Critica e partecipazione fraterna
Non voglio naturalmente tessere un elogio a quanti detengono un “piccolo o grande” potere nella chiesa. Dico solo che quest’ultimi, vescovi, superiori, ecc., proprio per il ruolo che esercitano, sono più esposti a compiere errori, a procedere con lentezza, a sottoporre a lunghi discernimenti scelte importanti, ad attuare con prudenza cambiamenti. Credo che la tua domanda metta in questione il tipo di relazione e la qualità dei rapporti all’interno delle comunità cristiane, spesso troppo funzionali e carenti di quella dimensione fraterna che dovrebbe caratterizzare i credenti in Cristo, al di la del servizio che svolgono. Non evidenzio il diritto alla critica, ma la modalità con la quale si rimane nell’istituzione a cui si appartiene, e come in essa ci si ponga come costruttori e non detrattori. Certamente ciascuno ha il diritto e il dovere di esprimere il proprio parere su scelte, percorsi, iniziative evidenziando così la diversità di formazione, di sensibilità e la pluralità di pensiero. Ma è necessario offrire la propria attiva partecipazione nel cammino quotidiano sentendosi corresponsabili nell’edificazione delle comunità cristiane offrendo in un dialogo rispettoso il proprio contributo come ricchezza. Dialogare dentro le differenze, è un’arte assai difficile, poiché chiede di affrontare il conflitto che esse generano. Rimanere in un ascolto paziente anche quando il proprio parere non è accolto, compreso e attuato, è un atteggiamento che richiede maturità, forza d’animo e amore alla Chiesa. La “critica” diviene costruttiva quando è posta dentro un amore grande alla propria comunità ecclesiale, volta a un cammino sempre più evangelico e coerente per la crescita e i singoli e delle comunità.
Pochi preti hanno il coraggio di parlare chiaro ai superiori
Mi chiedi però anche quanti parroci, religiosi o laici hanno il coraggio di dire apertamente il loro pensiero ai superiori, di essere cuori pensanti, capaci di rimanere nelle proprie realtà anche quando le scelte non sono condivise; quando ci si impegni a non creare, con le critiche o le mormorazioni, piccoli gruppi di devoti o di “fans” che confermano il proprio pensiero, ma fomentano nei fratelli, disorientamento e smarrimento. Ogni critica, anche se denuncia una carenza, una mancanza reale, non deve mai essere causa di divisione e di lesione della comunione all’interno della chiesa. Mi pare che anche in questo ambito, possa valere l’affermazione di papa Francesco, in Evangeli Gaudium, quando afferma che l’unità prevale sul conflitto e che “ si rende possibile una comunione nelle differenze, che può essere favorita solo da quelle nobili persone che hanno il coraggio di andare oltre la superficie conflittuale e considerano gli altri nelle loro dignità profonda”. Ma, il primo ambito nel quale siamo chiamati a conquistare questa pacificazione delle differenze è la propria interiorità, la propria vita, sempre minacciata dalla dispersione dialettica.
Caro Lorenzo aiutiamoci a portare il nostro contributo, anche “criticando” perché la bellezza del Vangelo risplenda sempre più attraverso la vita della Chiesa, e la vita nuova della Pasqua si diffonda nel mondo.