Marco Boato a San Fermo su Alexander Langer: «Ci ha insegnato ad essere saltatori di muri ed esploratori di frontiera»

Marco Boato parla di Alexander Langer con la voce dell’amico. Come colui che ha accolto, accompagnato, condiviso, sostenuto e che ora custodisce, l’esistenza e la memoria di questo costruttore di ponti.

E da amico ha ripercorso nell’incontro di venerdì scorso nella Chiesa di San Fermo in Bergamo le tappe essenziali dell’esperienza di Langer, della sua formazione e dell’impegno. In mano tiene il libro pubblicato nel 2015 Alexander Langer, costruttore di ponti (Editrice La Scuola), in cui è racchiuso l’itinerario di vita di questo giornalista, politico, ecologista difficilmente definibile con un solo aggettivo. Figlio di famiglia interreligiosa, il padre ebreo viennese, la madre farmacista cattolica, studia nelle scuole italiane sviluppando un perfetto bilinguismo, ed una incredibile capacità di tradurre. Forse una metafora della sua intera esistenza spesa appunto a costruire ponti, a sviluppare strumenti di conoscenza e comprensione, a facilitare contesti di incontro e ricerca. Un uomo la cui spiritualità è stata improntata in maniera significativa al cristianesimo essendo stato educato dai francescani e poi cresciuto nella FUCI.

Le parole di Marco Boato descrivono le tante piste di lavoro, culturali, politiche ed esistenziali, cui Langer si è dedicato, spesso precorrendo i tempi.

A partire dalla sua terra, quel Sudtirolo di comunità divise dal punto di vista etnico e linguistico, dove si è adoperato affinché fosse garantita pari dignità sia al tedesco che all’italiano e dove, ragazzino, fondò la rivista bilingue Die Brücke/Il ponte. Fu, egli, un «pioniere della convivenza etnica» e, di conseguenza, considerato un traditore. Obbiettò al censimento etnico previsto nella sua regione e per questo più tardi non gli fu permesso di candidarsi a sindaco di Bolzano.

Si dedicò ai temi ambientali e specificamente alla conversione ecologica quando tutti invece sviluppavano concetti e pratiche relative alla ‘riconversione’. Langer leggeva la conversione innanzitutto come un concetto interiore che deve diventare socialmente desiderabile per realizzarsi.

Negli anni della guerra nella ex-Jugoslavia si impegnò per creare spazi di confronti tra coloro che, nei diversi paesi in conflitto, cercavano una soluzione pacifica attraverso il dialogo, a questo scopo fu attivo nel progetto delle Carovane di pace del Verona Forum.

Marco Boato lo definisce un uomo di dialogo, capace di relazionarsi a chiunque, di intrattenere interazioni dialogiche anche intense con qualsiasi controparte, di pubblicare su numerose e differenti riviste e quotidiani.

Alexander Langer era un uomo generoso, sensibile, impegnato a fare e farsi spazio, consumato forse dall’esubero di fatica e sofferenza accumulata, per com’era, lui, incapace di proteggersi e fermarsi. Forse questi sono i motivi per cui ha chiuso la sua vita prematuramente.

«L’importanza di mediatori, costruttori di ponti, saltatori di muri, esploratori di frontiera» a questo ci invitava Alexander Langer nel suo lavoro di politico, giornalista, insegnante.

Ad attraversare confini, osare convivenze, interrogarsi nel dialogo. Questa l’eredità lasciata da chi ha saputo cercare e costruire relazioni ricche di umanità e spazi, che ha saputo sconfinare.

 

Venerdì sera si è concluso così il percorso di promozione e di sensibilizzazione culturale ‘CONFINI e SCONFINAMENTI’ di Gruppo Aeper, Acli Bergamo provinciale, Comunità di San Fermo, Fondazione Don Primo Bonassi e Gruppo Liberamente di Pradalunga.

Punto di partenza sono stati gli “sradicamenti di popoli in fuga da guerra, fame, miseria, persecuzioni e violenze; donne, uomini e bambini in cerca di una terra che si offra loro come porta accogliente e capace di aprire, nelle loro stesse storie, speranze nuove rispetto a tutto quanto hanno dovuto lasciarsi alle spalle” (M’impari?- “Confini” a cura di (Omar Valsecchi, Ed. Gruppo Aeper).

I confini quindi subiti quando concepiti come recinti, barriere, muri invalicabili. Quando immaginati a tutela di identità. Perché, in questo caso, gli sconfinamenti generano primariamente paura, avversità, necessità di individuare un nemico, qualcuno da incolpare e dal quale difendersi.

Oppure confini da utilizzare per sconfinare, per incontrare altro e altri, per avvicinarsi a sguardi nuovi e più ampi sulla realtà, per generare vita nuova.

La proposta ha inteso aprire degli spazi di conoscenza, pensiero e confronto su tematiche fortemente sollecitate dai fenomeni migratori che stiamo vivendo.