La Spagna accoglie i migranti sull’Acquarius. «Giusto condividere le responsabilità con gli altri Paesi Europei, ma chiudere i porti è illegittimo»

“Siamo contenti di sentire che la Spagna sia pronta ad accogliere i migranti a bordo dell’Aquarius. Caritas Europa ritiene che l’Ue e gli Stati membri abbiano tutti i mezzi e soprattutto il dovere morale di accogliere, proteggere, promuovere e integrare le persone bisognose”. Lo ha affermato Caritas Europa in un tweet a proposito della vicenda della nave Aquarius con 629 persone a bordo alle quali è stato negato l’accesso ai porti italiani.

Per tutta la giornata è proseguita nei lanci delle agenzie di stampa e sui social network una vivacissima battaglia di opinioni sul caso della nave Acquarius, carica di 629 migranti – tra cui 123 minori non accompagnati, 11 bambini e 7 donne incinte -, a cui è stato negato l’approdo in Italia.
“In un panorama così gretto, miope, egoistico e illegittimo nei confronti della normativa internazionale l’atto della Spagna è importante”. Così Lorenzo Trucco, presidente dell’Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione), commenta l’atto che definisce “agghiacciante” di chiudere i porti italiani alla nave Aquarius, dopo aver tratto in salvo 629 persone.
Dopo il no dell’Italia a far attraccare la nave Aquarius ecco l’intervento a sorpresa della Spagna…
Ne prendiamo atto con piacere, è un gesto molto positivo che fa onore alla Spagna, anche se non era formalmente tenuta a farlo. Ma questo non cambia la situazione dell’Italia che avrebbe l’obbligo giuridico di portare le persone in un porto sicuro. Ci fa sentire in una posizione di assoluta arretratezza e violazione della normativa. Vedremo cosa succederà in futuro. In un panorama così gretto, miope, egoistico e illegittimo nei confronti della ragione della normativa internazionale l’atto della Spagna è importante.
A livello giuridico si può impedire ad una nave che ha salvato vite umane di attraccare in un porto?
Quello che si è verificato è veramente agghiacciante, perché stiamo parlando di persone. In questo caso si incrociano elementi di diritto internazionale e di diritto interno. Secondo le varie Convenzioni prima di tutto occorre la salvaguardia della vita in mare, che vuol dire anche la conduzione delle persone salvate in un porto sicuro. Da questi due elementi discendono tutta una serie di principi. Ci sono dei passaggi nelle Convenzioni che riguardano il salvataggio delle vite in mare in caso di situazioni di grande angoscia, pericolo e di grandi violazioni: è chiaro che deve essere dato l’accesso ai porti. In questo caso c’è una responsabilità italiana perché i soccorsi vengono coordinati dalla autorità marittime italiane. Se davvero venisse impedito l’accesso ad un porto potrebbero scattare delle norme di carattere penalistico, dall’omissione di soccorso a tutto ciò che ne consegue. Tra l’altro sappiamo che la nave ha a bordo più persone di quante ne può contenere, le scorte di viveri sono limitate.
Chiudere i porti dunque è illegittimo?
«È illegittimo e contrario alle ultime conquiste del sistema dei diritti umani, la nostra unica ricchezza europea di cui possiamo andare fieri, anche se ha avuto sempre un problema di effettività, cioè ad alcuni si applica, ad altri no. Ora siamo in una fase nuova. Il sistema è sotto attacco perché dice che non si applica ad una serie di persone. Questo è pericoloso perché la storia ci ha dato esempi tragici di come si comincia con alcune leggi restrittive rispetto ad alcune categorie e poi si prosegue.
Probabilmente è stata una prova di forza per chiedere agli altri Paesi europei di accogliere. In ballo c’è anche la discussione europea sulle modifiche del Regolamento di Dublino, che vincola l’accoglienza al primo Paese di arrivo.
Questo è un tema da affrontare ma è successivo, perché riguarda la suddivisione dei compiti dell’accoglienza. Siamo tutti d’accordo sul fatto che l’Italia non debba sopportare da sola tutto l’onere dell’accoglienza e il discorso del Regolamento di Dublino va in quel senso. Ma non bisogna cercare di affossare la proposta di riforma avanzata dal Parlamento europeo che vuole superare il concetto di Paese di primo arrivo, con suddivisione di quote, concetti di famiglia, ipotesi di sponsorship. Vedremo alla fine di giugno cosa succederà. Ora ci sono i cosiddetti “triloghi” una fase di procedura complessa per arrivare alla normativa europea che prevede la co-decisione. Ci saranno incontri tra il Parlamento, il Consiglio e la Commissione Ue».
Perché l’opinione pubblica non capisce che recedere sui diritti di alcuni significa anche penalizzare i diritti di tutti?
«Può sembrare un grande salto logico invece è quasi matematico. La storia dell’uomo insegna che nel momento in cui si tolgono i diritti ai più deboli, automaticamente l’arretramento si espande alle altre categorie: prima a quelle più vulnerabili, poi a tutte le altre. I diritti nascono per difendere i deboli, i potenti non ne hanno bisogno. Ad esempio se si riducono le difese in Tribunale per certe persone si riducono anche per altre. O in tema di anti-discriminazioni, nel momento in cui si restringono i diritti di un gruppo è facilissimo passare alla riduzione dei diritti anche nei confronti di altri. In questo caso c’è il rischio di considerare i migranti come non-persone: c’è un problema di partenza perché si discute se è giusto applicare o no dei diritti! Purtroppo nella pratica sta succedendo una situazione pre-ottocentesca, che non considera i migranti come persone. Sono i famosi primi 100 giorni di governo, per cui era prevedibile. D’altra parte si stanno attivando anche molte forme di solidarietà per reagire a questa situazione. L’unico elemento di positività è che sempre di più, non solo in Italia, ci sono fette di società civile che si oppongono, che chiedono di conoscere, di sapere. Lo vediamo con le vicende alla frontiera francese, perché i confini terrestri o marini stanno diventando il luogo in cui si gioca tutto. Sono zone in cui non c’è più il diritto e i migranti vengono considerati non-persone.
Si sta tornando indietro ma è solo una questione di forza, in un’ottica molto miope».
Molto netta la posizione della Comunità di Sant’Egidio: “Di fronte al caso della nave Aquarius, bloccata nel Mediterraneo con 629 profughi a bordo, l’Italia deve restare ancorata ai principii di umanità che sono nella sua tradizione, a partire dal dovere di salvare le vite umane in pericolo, così come ha fatto negli ultimi anni di fronte ad una delle più grandi tragedie di inizio millennio: la morte in mare e nel deserto africano di migliaia di persone, tra cui molti bambini, in fuga dal Sud del mondo verso l’Europa”. La Comunità di Sant’Egidio chiede di continuare a salvare e, al tempo stesso, invita i Paesi dell’Unione europea ad “assumere la loro responsabilità: le navi, come l’Aquarius, possono attraccare nei porti italiani o in altri porti del Mediterraneo, ma i differenti Stati europei, non solo l’Italia o la Grecia, dovrebbero condividere l’accoglienza facendosi carico, ognuno, di una quota di profughi. Il ricollocamento immediato di chi chiede asilo – come già sperimentato – alleggerirebbe l’impegno del nostro Paese e faciliterebbe l’integrazione che, occorre ricordarlo, è la più grande sfida vissuta attualmente dall’Europa alle prese con l’immigrazione”. “Interventi più incisivi e di lunga durata nei Paesi di origine dei migranti – conclude Sant’Egidio – aiuterebbero ad affrontare il fenomeno alla sua radice insieme alla riapertura di vie di ingresso regolare per motivi di lavoro, dato anche il preoccupante calo demografico in atto in Europa e in Italia”.