Dopo il caso Acquarius, resta aperta la partita della – finora inesistente – politica migratoria europea. Chiara dimostrazione del prevalere degli egoismi nazionali. Tutti, ma proprio tutti, coloro che minimamente praticano il diritto comunitario e le dinamiche politiche su scala Ue sanno che l’Unione europea non dispone di una sua politica migratoria. Per questa ragione dinanzi all’emergenza-Mediterraneo, all’emergenza-rotta del Balcani, all’emergenza-Egeo si sono cercate risposte più o meno improvvisate, costruendo solo in questi ultimi anni tentativi di gestione comune del fenomeno migratorio. Partendo però da una base giuridica inadeguata, da una assoluta scarsità di fondi, e soprattutto da un’assenza di volontà politica da parte dei 28 governi degli Stati membri di affrontare assieme tale problema.
Nodi riemersi con l’emergenza Aquarius. E chissà cosa accadrà domani, dopodomani e in futuro…
A parte qualche richiamo all’unità d’intenti e d’azione giunti dall’Europarlamento, e a ben intenzionati ma insufficienti interventi della Commissione per ricondurre la questione migratoria a un affare europeo, negli ultimi 10 anni (almeno) si è compresa qualche verità: che i richiedenti asilo e i migranti nessuno li vuole; che la disponibilità ad aprire le braccia a chi fugge dalla fame e dalla guerra è ridotta ai minimi termini (con alcune significative eccezioni, compresa quella di stampo umanitario e solidale della Chiesa cattolica); che le opinioni pubbliche fanno tranquillamente a meno di africani e asiatici e che i leader politici di quasi tutti i Paesi europei, proprio per questa ragione, cavalcano l’onda anti-migranti. Anzi, talvolta gli arrivi dei migranti, sono stati “usati” – con la complicità di media e social interessati – per raggranellare voti: si pensi alle recenti elezioni austriache e ungheresi, senza ovviamente escludere quelle italiane del 4 marzo scorso.
La penosa vicenda della nave Aquarius si inserisce in tale contesto. E la diatriba tra Italia e Malta – complessa e per varie ragioni comprensibile – è osservata nel resto d’Europa con quel tanto di cinismo che pensa, e talora afferma: “è affar loro”. Altro che riforma concordata del sistema d’asilo (Dublino III) in agenda al prossimo Consiglio europeo di fine giugno… Altro che ricollocamenti… Altro che “non lasciar sola l’Italia”!
Peraltro è vero che per ottenere appoggi e mani tese dal resto dell’Ue così da far fronte alle migrazioni (nelle fasi più acute dell’emergenza, ma anche in quelle successive dell’accoglienza e dell’integrazione, senza venir meno alla sicurezza dei propri cittadini) è necessario anzitutto rispondere senza indugio al dovere di salvare vite in mare, e quindi costruire una rete politica e diplomatica che comprenda l’impegno di portare solidarietà ai Paesi membri più esposti verso l’Africa e il Medio Oriente da dove arrivano i flussi.
In questo senso irrigidirsi e mostrare i muscoli non serve. Bisogna agire su più piani: perseguendo la via del dialogo con gli alleati europei, obbligandoli a riconoscere quanto ha fatto finora l’Italia su questo versante e chiamandoli alla corresponsabilità; tessendo accordi con gli Stati dirimpettai, anche alzando la voce quando necessario (e avviando al contempo forme di cooperazione volte a favorire democrazia, pace e benessere in tali Paesi, affrontando il fenomeno migratorio dalle radici); ricostruire il confronto pacato in casa propria, favorendo un’opinione pubblica meno ostile ai migranti. Considerando il fatto che la stasi demografica dell’Italia si affronta anche – non solo, ovviamente – con l’arrivo di “nuovi italiani”, da inserire nella vita del Paese, secondo le leggi nazionali, nel rispetto dell’identità e dei costumi di chi accoglie. Senza per questo mortificare identità e costumi di chi, arrivando da lontano, continua a credere al detto “italiani brava gente”.Gianni Borsa