Una petizione contro la chiusura di un convento. Ma le firme non risolvono la crisi di vocazioni

“Firenze, gli ultimi sei domenicani del monastero di San Marco si trasferiranno. Una petizione per fermare la decisione ha raccolto diciottomila firme”.
È questa, apparsa nei giorni scorsi, l’ultima di una lunga serie di notizie che raccontano il succedersi di chiusure di luoghi che ospitavano una vita comunitaria grazie alla quale la bellezza aveva preso forma nell’arte, nella cultura, nella memoria.
Una comunità credente e pensante, come è quella di un convento, non è un’impresa come altre, è il frutto di una personale testimonianza di vita e di fede che viene condivisa, giorno per giorno, con gli altri e per gli altri.
C’è dunque una ricchezza interiore che genera quelle ricchezze visibili per la cui sopravvivenza si raccolgono firme.
“Gli studiosi – scrive il giornalista nel dare la notizia – temono che la scomparsa dei frati o la loro presenza a mezzo servizio, possa rendere meno fruibile la ricchissima biblioteca, preziosa fonte di volumi altrove introvabili. I credenti sono dispiaciuti al pensiero che non avranno un punto di riferimento con interlocutori di alto livello. Anche i laici sono consapevoli che con la chiusura di San Marco la città perde un tassello importante della sua identità”.
Forse dietro questa preoccupazione c’è una domanda, a suscitarla è lo stesso titolo della notizia: “La crisi delle vocazioni fa chiudere il convento…”.
Il giornalista giustamente non si addentra in argomentazioni che non gli appartengono ma lascia intuire che alla radice di una chiusura di spazi c’è il venir meno di strade e orizzonti nella mente e nell’anima dell’uomo.
Se ne stanno accorgendo uomini e donne pensanti, siano essi credenti o non credenti.
I frati non sono dei semplici addetti alle biblioteche e agli archivi, c’è qualcosa di totalmente altro nelle loro scelte di vita. C’è una vocazione.
Non si può ripristinare la loro presenza, come altre, raccogliendo firme. Queste, se potranno forse impedire la chiusura di luoghi di grande valore culturale, non potranno far rivivere una comunità orante e pensante che dà senso compiuto agli spazi. E questo vale non solo per i conventi.
Occorrono altre firme da apporre sui fogli invisibili e interiori della gratuità, della memoria, dell’infinito, del mistero.
La notizia non va, e neppure deve andare, oltre la narrazione del fatto ma proprio da un racconto giornalistico possono nascere altre domande.
Domande sulla fatica e sulla bellezza di vivere e di credere che richiamano la parola “vocazione”. Domande che generano, in modi differenti e in un tempo di dominante pensiero debole, il desiderio di un significato bello e alto per la propria e per l’altrui vita.

Nella foto un particolare del dipinto di Giovanni Antonio Sogliani, San Domenico e i frati serviti dagli angeli custodito nel monastero di San Marco a Firenze

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