Lo spot dice “fate figli per l’Italia”: ma il sostegno alla famiglia, poi, dov’è?

Ce lo chiede la Chicco, che con il suo nuovo spot incita a combattere i problemi del paese a suon di procreazione. Fate figli per far tornare grande l’Italia, fate figli per il futuro del paese. E se vale l’ormai arcinoto detto “nel bene o nel male, purché se ne parli”, la Chicco ha probabilmente raggiunto lo scopo del farsi pubblicità facendo discutere, cavalcando una tematica che non manca mai di infiammare gli animi. Già, perché se da un lato è abbastanza normale che una marca di prodotti per bambini punti sulla natalità nei suoi spot, dall’altro verrebbe da chiedersi come mai si senta sempre il bisogno di trasformare la genitorialità in una questione collettiva prima che personale, intima e assolutamente privata. E soprattutto, come mai si riduca sempre il calo demografico ad una “non voglia” di fare figli, quando in realtà il problema è ben più complesso.

Perché diciamocelo: “fate figli per l’Italia”, ma poi per mantenerli che si fa? Una volta procreato per il futuro del paese, che cosa fa il paese per supportare i genitori nella loro scelta? Facciamoli i figli per l’Italia, va benissimo, ma sappiamo che se siamo donne ci faranno probabilmente firmare le dimissioni in bianco per tutelarsi dall’evenienza: perché va bene il futuro del paese, ma conta anche la produttività dell’azienda e se vuoi fare figli non servi più. Facciamo figli per l’Italia, perché tanto i figli si fanno in due ma poi in larga parte ad occuparsene è solo la mamma: e tanti saluti alla sua carriera, ai suoi sogni, alla sua vita-oltre-la-maternità. E infatti i dati parlano chiaro: in Italia le donne sono solo un terzo degli occupati, e dopo il primo nato aumenta esponenzialmente la probabilità di uscire dal mondo del lavoro così come le difficoltà per rientrarci. Facciamo i figli per l’Italia, grazie Chicco per il consiglio, ma se l’Italia ci aiutasse riducendo i costi di asili nido e post-scuola non sarebbe poi così male. E non sarebbe male neanche se al posto delle campagne tipo Fertility Day si iniziasse a parlare di genitorialità condivisa, invece che continuare a consolidare il diffusissimo e – diciamolo – datato stereotipo della donna come angelo del focolare, cuore sacro della casa ma solo finché in casa ci rimane, a votare la sua esistenza al soddisfacimento dei bisogni di figli e coniuge. Perché è questa l’immagine della donna che un numero crescente di persone sembra cercare: basta guardare i commenti sui social network sotto una qualunque notizia che parli di maternità in modo non “tradizionale”, di problematiche legate ad una maternità moderna, nella quale la donna vuole scegliere di essere anche donna, appunto, e non solo madre.

Quello che è solo lo spot (pure simpatico, se vogliamo) di un’azienda privata va a toccare tasti che privati non lo sono più. Rispolverare slogan di procreazione patriottica non basta, non serve, è offensivo e controproducente. Forse è ora di chiedersi piuttosto: noi possiamo pure farli i figli per l’Italia, ma tu Italia, per noi, che cosa fai in cambio?