Si spopolano i borghi, crescono le vite al margine. Quale futuro ci attende?

Cambia la fisionomia del nostro territorio attraverso gli spostamenti della popolazione. Ci dovremmo porre la domanda di quanto il processo cambierà gli stili di vita dei cittadini italiani.

Una delle ricchezze più invidiate del nostro Paese sono i piccoli borghi, paesi, cittadine, quasi villaggi che caratterizzano i paesaggi di qualche costa marina, delle campagne nell’entroterra, delle montagne alpine o appenniniche. Le immagini, che nascondono la storia di una relazione antica tra l’uomo e la natura, hanno fatto innamorare i turisti di mezzo mondo.

Anche la qualità della vita in quei luoghi ameni è buona. Secondo alcuni dati dell’Anci (Associazione nazionale dei comuni italiani) gli italiani che vivono nei 5.544 comuni con una popolazione che non supera i 5.000 abitanti, sono nel complesso più soddisfatti della loro vita (il 70% contro il 64% della media nazionale), hanno maggiore fiducia nei loro vicini (78,2%, mentre nelle città si tocca il 66,1%), sono in pochi a sentirsi insicuri (5,1% contro 15,9%), vivono in case più grandi (90 metri quadri contro 53 delle città), che costano mediamente meno (circa 120mila euro, contro i 270mila delle aree urbane).

Queste bomboniere, tuttavia, si stanno progressivamente spopolando. Negli ultimi sei anni circa 75mila abitanti hanno spostato la loro residenza in zone urbane. Si tratta soprattutto di giovani e nuovi nuclei familiari che cercano lavoro e servizi migliori che i piccoli borghi non possono garantire.

Una tendenza diametralmente opposta si verifica nelle aree considerate periferie delle aree metropolitane. In queste zone si concentra il 75% della popolazione che vive nelle grandi città. È una parte di questa sperimenta condizioni disagiate: distanza dal centro, mancanza di pianificazione urbanistica. In quei luoghi molto spesso emerge “l’assenza del bello” che condiziona il mantenimento del “bene pubblico”, perché vivere in zone brutte non stimola il senso civico, non aiuta la responsabilità alla conservazione. A tutto questo si somma il disagio: per misurare la gravità della situazione l’Istat ha costruito un indice di vulnerabilità sociale, composto da quattordici indicatori, tra i quali il reddito, la densità abitativa, il livello di istruzione. Nelle grandi città capoluoghi vivono in questi contesti oltre 9,2milioni di persone di cui quasi 887mila a Roma (sarebbe il 33,2% della popolazione della capitale e del suo interland). Queste zone sono in crescita. Ma soprattutto, come tutte le periferie, hanno confini indefiniti e mobili.

Così l’Italia vive queste due tendenze. Da un lato tende a perdere la popolazione in borghi, forse scomodi, ma vivibili; dall’altro lato concentra in aree metropolitane persone che finiscono per vivere al “margine” e in contesti fortemente svantaggiati. Questi movimenti per ora incidono sugli stili di vita che diventano sempre più accelerati e convulsi, sempre meno a “misura d’uomo”. Per il futuro diventa importante prevedere gli ulteriori sviluppi per governare i processi e continuare la tradizione che ha visto l’Italia nella sua storia riuscire a conciliare ambiente, paesaggi e impatto dell’uomo.