Sant’Alessandro e l’umiltà. Il vescovo Francesco Beschi: “Non trattare mai un essere umano come un mezzo, ma sempre come un fine”

Quella sera dell’11 ottobre 1962, di fronte a una folla sterminata riunita in Piazza San Pietro alla luce delle candele, alla vigilia del Concilio Vaticano II, San Giovanni XXIII nel celebre “discorso della luna” diceva “La mia persona non conta niente. E’ un fratello che parla a voi, diventato padre per la volontà di nostro Signore”.

E’ ancora una volta il Papa bergamasco a fare da modello e da guida nella virtù dell’umiltà, filo conduttore quest’anno della festa del patrono Sant’Alessandro, anche nel pontificale del vescovo Francesco Beschi, che parte proprio dall’atmosfera intensa di quella sera, dall’indimenticabile discorso della luna: “Le parole di Giovanni XXIII – ha spiegato alla folla che questa mattina, 26 agosto, gremiva la Cattedrale – aprono uno squarcio molto ampio su tutti coloro che non hanno fatto la scelta di essere umili, ma che in una misura incalcolabile oggi come ieri vengono umiliati. Forse anche noi possiamo raccontare esperienze di questo genere. Aver sperimentato questa condizione ci dovrebbe rendere più attenti alle persone che la vivono continuamente. Persone umiliate a causa dell’ingiustizia globale che si manifesta in modo sempre più evidente in forme di squilibrio sociale ed economico non riconducibili a una sola porzione del pianeta, a un solo Paese. Sono persone sfruttate in tutte le maniere, con una superficialità e una malizia che sembrano averci fatto scordare i fondamenti della nostra convivenza di esseri umani”. Il vescovo ha richiamato “le infinite forme di sfruttamento” che sono in atto in tutto il mondo, ha sottolineato quanto sia importante “non trattare mai un essere umano come un mezzo ma sempre come un fine”. Nella giornata in cui Bergamo ricorda Sant’Alessandro, morto come martire, nel disprezzo e nel silenzio, il vescovo ha richiamato in modo forte e deciso l’attenzione sugli umiliati di oggi, “coloro che provano sulla propria pelle fin dalla nascita la condizione di essere usati. Una condizione strutturale a cui si trovano spesso delle giustificazioni”. Il vescovo Francesco ha voluto ricordare anche “quelli che vengono umiliati a causa della verità, che sembra oggi essere irrisa”.  Ha ricordato che per ogni cristiano la prima guida dev’essere l’umiltà di Gesù, che si è inchinato di fronte agli umili, “mettendosi nella condizione di servo, obbediente fino alla morte in croce”. L’umiltà cristiana, ha ribadito il vescovo, “è alimentata dalla consapevolezza di essere creature di Dio e poveri peccatori, sempre disponibili a riconoscere il peccato degli altri ma faticosamente disponibili a riconoscere il nostro. L’umiltà cristiana è ancora di più quella di adorare un dio che si è fatto ultimo, povero, crocifisso”. Il vescovo ha infine consegnato all’assemblea alcuni “esercizi di umiltà”: “Il primo ci porta a superare l’ovvietà e la banalità con cui consideriamo la vita. L’umiltà si sposa perfettamente con la meraviglia e lo stupore che aprono la vita alla speranza. L’umiltà può quindi portarci a resistere alla banalità con cui a volte viviamo le nostre giornate e le nostre relazioni”. L’umiltà, in secondo luogo, è l’ossequio a una verità più grande di noi, alla legge, alla coscienza, a Dio: “Un altro importante esercizio – ha aggiunto monsignor Beschi – è il riconoscimento della propria fragilità e del bisogno che abbiamo gli uni degli altri. Nel momento in cui amiamo e siamo amati veramente, siamo chiamati a riconoscere che abbiamo bisogno del prossimo”. E’ un esercizio di umiltà anche prendere consapevolezza del contributo che ognuno di noi può dare all’edificazione della comunità, dell’agire comune. “Nel Vangelo si dice voi siete il sale, voi siete la luce. Il sale nella pietanza è necessario ma poi scompare. Lo stesso vale per la luce, il suo valore sta nell’illuminare. Così noi cristiani dovremmo essere consapevoli della responsabilità che ci è affidata e del contributo che possiamo dare all’edificazione della casa comune”, senza paura di “scomparire”.

Umiltà è infine “decentramento da noi stessi e riconoscimento del comune destino. Non ci sono altre barche, altri barconi – ha insistito il vescovo -, siamo tutti sulla stessa barca. La condivisione è uno dei modi con cui viviamo l’umiltà. Il martire scompare con la sua vita a volte disprezzato e disconosciuto ma nel farlo invita tutta la Chiesa a non vivere solo la condizione di umiliazione per i propri errori e per i propri peccati. La chiesa dev’essere umile per scelta, non solo per necessità”.

Un ringraziamento particolare, nell’occasione della festa del patrono, è stato indirizzato alle numerose autorità civili presenti alla celebrazione “per la disponibilità dimostrata in occasione della peregrinatio dell’urna di Papa Giovanni XXIII, che si è svolta in un clima di serenità e devozione, con una risposta superiore alle aspettative”.