L’oratorio di Cologno al Serio in Terra Santa: «Un viaggio che ne vale mille e ti cambia per sempre»

Partire senza troppe aspettative e tornare più ricchi di prima. Più di quanto fosse pensabile. La Terra Santa che entra nel cuore e nell’anima, con i suoi colori e le sue storie. Una terra difficile Israele, ma affascinante. Un caldo a tratti soffocante, un paesaggio arido dipinto dalle sfumature del bianco e dell’oro delle sue rocce che brillano giocando con intensità e luminosità dei più roventi raggi del sole. Poi altre strade, altri colori, i profumi del mercato di Gerusalemme, gli occhi felici dei bambini di Nablus che non hanno nulla se non un sorriso contagioso.

La banalità non gli appartiene, non è il solito e anonimo deserto il Negev, il colpo di scena è pronto a mozzare il fiato dietro l’angolo, per trovarsi faccia a faccia con un nuovo scenario, non un miraggio dettato da colpi di caldo ma una pura realtà, quella di uno scrigno di tesori in continuo divenire che da centinaia di anni attira milioni di persone. Dal Negev a Betlemme, dalla Galilea a Gerusalemme passando per Cafarnao e Gerico. Il suo aspetto, nonostante si presenti così ostile, ha comunque il suo fascino, quello di un luogo dal sapore storico là dove un pulsare di emozioni e suggestioni invadono l’animo di chiunque si appresti a calpestare il suo spazio.

Dal 13 al 29 agosto quindici ragazzi di Cologno – curato compreso – hanno passato due settimane in Israele, condividendo la loro avventura con altri ragazzi provenienti da ogni parte della penisola: Genova, Padova, Bologna, Roma e Pisa. Sotto l’istrionica guida di Padre Cavallini, gesuita bergamasco di nascita ma genovese d’adozione, abbiamo attraversato i wadi del deserto, scalato canyon dalla terra rossa, ci siamo immersi nel Giordano e abbiamo fatto un bagno nel Mar Rosso e poi nel salatissimo Mar Morto. Fino ad arrivare alla nostra ultima meta: Gerusalemme, la città santa, una delle città più contese della storia. Ma cosa è oggi Gerusalemme?

Fatta in un modo straordinario e unico, Gerusalemme è contesa da israeliani e arabi palestinesi dalla fine della Seconda guerra mondiale. I primi rivendicano di averla fondata e averci costruito il luogo più sacro per l’ebraismo, il Tempio Santo, di cui oggi rimane solo un pezzo, il cosiddetto Muro del pianto. I secondi, gli arabi palestinesi, l’hanno abitata per secoli, un periodo nel quale hanno costruito l’edificio più riconoscibile della città, la Cupola della roccia, quella cupola d’oro che svetta guardando Gerusalemme da lontano. La Cupola della roccia e la vicina moschea di al Aqsa si trovano sulla cosiddetta “Spianata delle moschee”, cioè il luogo dove si trovava il Tempio Santo. Ci sono giorni in cui è difficile fare più di una decina di passi in mezz’ora, da quanta gente c’è in giro. In altri, invece, le strade sono deserte e diventa complicato fare le cose che di solito si fanno in una città. Gerusalemme è una città dove può succedere di tutto e non succedere niente, in cui si trovano i principali siti di culto di tre delle principali religioni del mondo, piena di turisti in tutti i periodi dell’anno ma militarizzata come poche metropoli al mondo. Tutti gli edifici religiosi più importanti si trovano nella città vecchia, uno spazio di un chilometro quadrato circondato da mura imponenti, costantemente pieno di turisti, pellegrini, soldati israeliani e venditori ambulanti. La città vecchia è divisa in quattro quartieri: ebraico, cristiano, musulmano e armeno.

Contraddizioni e sconvolgimenti fanno parte della sua storia. Dal 70 d.C. quando la città fu il centro della rivolta degli ebrei contro l’Impero romano. I quattro anni di scontri si conclusero con l’assedio e la distruzione del centro da parte di Tito. Nei secoli precedenti Gerusalemme era stata resa maestosa dalle dodici tribù di Israele, distrutta dai babilonesi e occupata da Alessandro Magno; dopo l’assedio dei Romani fu conquistata dagli arabi, assediata dai crociati che cercavano il sepolcro di Gesù Cristo e infine occupata dagli ottomani, fino al Ventesimo secolo.

Raccontare quegli infiniti 17 giorni rischierebbe di tradursi in un mero elenco di città e luoghi visitati. Ventiquattro ore che sembravano quarantotto, giorni che diventavano una settimana, e settimane che sembravano mesi. Pranzi sempre uguali e diversi, popoli vicini e lontani, sorrisi che rimangono nell’anima e occhi che ti strappano il cuore. Ho imparato tanto, ho vissuto tanto. Superato limiti e paure, creato amicizie e conosciuto meglio me stessa. Ho visto con i miei occhi quanto crudele può essere l’uomo, con quel filo spinato che ogni giorno faceva da sfondo ai paesaggi che ci si aprivano davanti, con quei massi posti a bloccare la strada che porta alla casa di Daud Nassar, per arrivare alla Tenda delle Nazioni. Ho sentito come brividi sulla pelle la bellezza della natura, imponente, maestosa, carismatica ma che non concede sconti. Ho capito che la felicità la puoi trovare ovunque: alla fine di una discesa faticosa, sul monte delle beatitudini, davanti ad un piatto di falafel che senza una pita come accompagnamento non sono la stessa cosa. Ho ascoltato le parole di padre Pizzaballa, vescovo di Gerusalemme e custode della Terra Santa, di Edna, di chi a Nablus cerca di rendere più normale la vita di coloro che abitano sotto l’occupazione. Ho incrociato mille occhi, stretto mani, sorriso a sconosciuti e riso con chi ha condiviso con me questa esperienza per la quale ogni aggettivo sarebbe riduttivo. Torno cambiata, più matura forse. Pensieri confusi e nuovi, luoghi impressi nella mente, posti che mi hanno accolto come se ci avessi sempre abitato. Lacrime e gioia, silenzio e canzoni, nottate sulle rocce e meditazione nel Getsemani. La Terra Santa vale mille viaggi, mille fatiche: un’esperienza unica.