Uno sguardo che genera: la lettera pastorale del vescovo su giovani e vocazioni

«Uno sguardo che genera»: il filo conduttore della lettera pastorale del vescovo di Bergamo, monsignor Francesco Beschi, è anche un invito ad aprire orizzonti, a fare spazio, a lasciare che le novità germoglino, a non avere paura dell’ignoto. Dopo l’anticipazione la settimana scorsa all’assemblea del clero, venerdì, a partire dalle 17, la presenterà all’Assemblea diocesana di apertura dell’anno pastorale.

A fare da filo conduttore è una storia di Gianni Rodari tratta dalle celebri “Favole al telefono”. Rodari pur usando un linguaggio molto semplice e diretto non parla soltanto ai ragazzi, ma offre chiavi di lettura sempre valide per decodificare la realtà e le relazioni umane. È quello che accade con la storia scelta dal vescovo: «La strada che non andava in nessun posto» (Favole al telefono, 1962).

All’uscita del paese si dividevano tre strade: una andava verso il mare, la seconda verso la città e la terza non andava in nessun posto. Martino lo sapeva perché l’aveva chiesto un po’ a tutti e da tutti aveva avuto la stessa risposta: – Quella strada lì? Non va in nessun posto! È inutile camminarci. – E fin dove arriva? – Non arriva da nessuna parte. – Ma allora perché l’hanno fatta? – Ma non l’ha fatta nessuno, è sempre stata lì! – Ma nessuno è mai andato a vedere? – Sei una bella testa dura! Se ti diciamo che non c’è niente da vedere… – Non potete saperlo se non ci siete stati mai. Era così ostinato che cominciarono a chiamarlo “Martino Testadura”, ma lui non se la prendeva e continuava a pensare alla strada che non andava in nessun posto. Quando fu abbastanza grande da attraversare la strada senza dare la mano al nonno, una mattina si alzò per tempo, uscì dal paese e senza esitare imboccò la strada misteriosa e andò sempre avanti. Il fondo era pieno di buche e di erbacce; a destra e a sinistra si allungava una siepe ma ben presto cominciarono i boschi. I rami degli alberi si intrecciavano al di sopra della strada e formavano una galleria oscura e fresca nella quale penetrava solo qua e là qualche raggio di sole a far da fanale. Cammina e cammina… la strada non finiva mai. A Martino dolevano i piedi e già cominciava a pensare che avrebbe fatto bene a tornarsene indietro quando vide un cane. Dove c’è un cane c’è una casa – rifletté – o perlomeno un uomo! Il cane gli corse incontro scodinzolando, poi si avviò lungo la strada e ad ogni passo si voltava per controllare se Martino lo seguiva ancora. Finalmente il bosco cominciò a diradarsi, in alto riapparve il cielo e la strada terminò sulla soglia di un grande cancello di ferro. Attraverso le sbarre vide un castello con tutte le porte e le finestre spalancate e da un balcone una bellissima signora salutava con la mano e gridava allegramente: – Avanti! Avanti, Martino Testadura! – Toh! – si rallegrò Martino – io non sapevo che sarei arrivato, ma lei sì! Spinse il cancello, attraversò il parco ed entrò nel salone del castello in tempo per fare l’inchino alla bella signora che scendeva dallo scalone. Era vestita meglio delle fate, delle principesse e in più era allegra e rideva. – Allora non ci hai creduto! – A che cosa? – Alla storia della strada che non andava in nessun posto. – Era troppo stupida e secondo me ci sono anche più posti che strade! – Certo! Basta aver voglia di muoversi! Ora vieni, ti farò visitare il castello. C’erano più di cento saloni zeppi di tesori d’ogni genere, diamanti pietre preziose, oro, argento e ogni momento la bella signora diceva: – Prendi! Prendi quello che vuoi! Ti presterò un carretto per portare il peso. Figuratevi se Martino si fece pregare! Il carretto era ben pieno quando egli ripartì. A cassetta sedeva il cane che era un cane ammaestrato e sapeva reggere le briglie e abbaiare ai cavalli quando sonnecchiavano e uscivano di strada. In paese, dove l’avevan già dato per morto, Martino Testadura fu accolto con grande sorpresa. Martino fece grandi regali a tutti, amici e nemici e dovette raccontare cento volte la sua avventura e ogni volta che finiva, qualcuno correva a casa a prendere carretto e cavallo e si precipitava giù per la strada che non andava in nessun posto. Ma quella sera stessa tornarono uno dopo l’altro con la faccia lunga così per il dispetto: la strada per loro finiva in mezzo al bosco, contro un fitto muro d’alberi, in un mare di spine. Non c’era più né cancello, né castello, né bella signora perché certi tesori esistono soltanto per chi batte per primo una strada nuova e il primo era stato Martino Testadura.

Da questa storia il vescovo Francesco trae alcune immagini simboliche: «La prima immagine è quella della via misteriosa attorno alla quale si sviluppa un paradossale dialogo che invece di quietare, alimenta la curiosità e il desiderio. La seconda è quella del castello al quale si giunge attraversando un fitto bosco: tenacia e fiducia sostengono la ricerca e aprono occhi e cuore alla sorpresa che riempie di gioia e di ricchezza. La terza è quella del paese e dei suoi abitanti… La proposta o, se volete, la necessità è quella di camminare insieme: accompagnarsi ed aspettarsi, adottare il passo di chi fa più fatica, a volte più avanti, altre volte accanto o indietro. Camminare insieme significa aprire una relazione, una reciprocità non invasiva. È vero: i giovani vogliono e devono fare la loro strada, ma non disdegnano la compagnia di chi non si sostituisce a loro, di chi non si impalca a maestro, di chi crede in loro».

L’anno scorso la lettera del vescovo suggeriva di essere «il cuore che ascolta», quest’anno «sguardo che genera», come seconda tappa di un percorso triennale che porterà l’anno prossimo a «Una voce che invia». L’attenzione particolare ai giovani ha accompagnato il Sinodo dei giovani l’anno scorso nella preparazione, quest’anno nello svolgimento (dal 4 ottobre) e l’anno prossimo ne raccoglierà i frutti. «Non si tratta di una scansione temporale – scrive monsignor Francesco Beschi nelle prime pagine della lettera – quanto di dimensioni che la comunità cristiana è chiamata a rappresentare continuamente, con la chiara consapevolezza che questi orientamenti riguardano innanzitutto lei stessa. È la comunità che si pone in ascolto dei giovani, che si interroga e interpreta le loro attese e provocazioni, che genera con loro speranze di vita, che comunica il dono e la responsabilità del Vangelo vivente». Icona della lettera è il Vangelo dell’Annunciazione, accompagnato dall’immagine realizzata dal pittore Arcabas, scomparso di recente, che fa parte del polittico «L’infanzia di Cristo».