L’incidente di Gazzaniga, gli studenti e la sicurezza. Non si può morire per andare a scuola

C’è un momento in cui i ragazzi incominciano ad andare per il mondo per conto loro. E spesso coincide con i 13-14 anni, terza media e prima superiore, quando le gambe si allungano, la voce diventa più profonda, le scelte più importanti.
E’ un momento in cui ci preoccupiamo di farli sentire protetti, al sicuro, anche se un po’ (ma non troppo) più lontano da noi. Spesso dobbiamo affidarli a qualcuno: la scuola, i catechisti, gli educatori, ma anche a un sistema più ampio, più articolato che comprende, per esempio, i mezzi pubblici. Ogni anno si replicano campagne martellanti perché si abbandonino le auto a favore di mezzi più ecologici. Sono tanti, alla fine, a scegliere questa via, anche per necessità oggettiva (gli orari, i ritmi delle giornate, gli impegni di lavoro). E ciò è possibile grazie a un atto di fiducia nei confronti di chi provvede all’organizzazione e alla circolazione dei mezzi. Anche per questo sono stati così forti lo scalpore, il dolore e l’indignazione suscitati dall’incidente che qualche giorno fa è costato la vita di Luigi Zanoletti, 14 anni appena. Un ragazzo con un viso allegro e occhi pieni di sogni, così simile ai nostri figli che ognuno di noi l’ha sentito come proprio. Ognuno di noi si è sentito – almeno in minima parte – vicino alla grande sofferenza di quella famiglia. Ci sono altri due suoi compagni, Paolo e Simone, ancora in ospedale, sono vivi ma dovranno fare i conti con tutte le conseguenze di quel tragico incidente. Sono moltissime le domande che ne sono nate, le reazioni che continuano a susseguirsi. Spetta alle indagini in corso stabilire la dinamica, le responsabilità oggettive di quanto è accaduto e fare giustizia, ma siamo convinti che il discorso non possa fermarsi lì. Tra le prime cause segnalate c’è stata “la fretta”, molti tra i testimoni e quelli che frequentano il piazzale parlano di problemi dovuti alla presenza contemporanea di tanti ragazzi (ce ne sono quasi 1.400 in quel polo scolastico), alla posizione delle pensiline, al disordine delle ore di punta. L’incidente, hanno detto, è stato “imprevedibile”, ma non lo sono le condizioni che, a detta di molti, possono averlo favorito. Cosa si può fare perché non accada più? La sicurezza è un problema che investe in primo luogo le società dei trasporti, i comuni, la polizia locale, a loro spettano le riflessioni più importanti, e ci auguriamo che non le lascino cadere, ma è un compito che in fondo coinvolge la società intera: nell’educazione a comportamenti adeguati, nella predisposizione di tracciati protetti, di prassi positive. Sono stati molti i passi compiuti negli ultimi anni soprattutto nelle scuole primarie e secondarie di primo grado, dove i tragitti medio-brevi permettono di organizzare piedibus, interventi della polizia locale in classe, la presenza degli ausiliari del traffico e dei volontari per proteggere gli attraversamenti. A un certo punto del percorso però questi sforzi sembrano evaporare e disperdersi. Ci auguriamo che la marcia pacifica organizzata per la settimana prossima dagli studenti dell’Isitituto superiore di Gazzaniga con il neonato “Comitato di studenti ed ex studenti dell’Isiss Valle Seriana” per far sentire la propria voce e chiedere giustizia e sicurezza – oltre a onorare la memoria di un compagno – possa essere un segno in questa direzione: un movimento di opinione e di azione concreta, destinato a coinvolgere anche le altre scuole superiori della valle. Anche i giovani potrebbero essere coinvolti in prima persona, come suggeriscono associazioni che da tempo si occupano di prevenzione sulle strade, come Ragazzi on the road. Ci auguriamo che questo gesto contribuisca a smuovere e a far crescere la responsabilità e la consapevolezza degli adulti e che stimoli le istituzioni presenti sul territorio a mettersi in rete per rispondere agli appelli di questi giorni con provvedimenti altrettanto concreti. Non si può morire per andare a scuola.