Una scritta sui muri negli anni 70 diceva “Basta fatti vogliamo parole”: al di là della interessante provocazione, possiamo cogliere una verità fondamentale: le parole sanno costruire e distruggere, edificare e demolire, consolare e uccidere di certo costituiscono una parte essenziale di ogni relazione. È per questo che il Papa si sofferma quasi a tessere un vero e proprio elogio del dialogo, modalità privilegiata e indispensabile per vivere, esprimere e maturare l’amore nella vita coniugale e familiare (AL 136).
E nonostante riconosciamo che saper dialogare sia essenziale per il matrimonio, nonché poi per la vita in famiglia e la vita sociale in genere chi oggi educa al dialogo e chi sente di avere la necessità di impararne i fondamentali? Si pensa sempre che sia la scrittura a necessitare di un apprendistato, e invece anche il linguaggio chiede di essere formato, attraverso sia attenzioni e atteggiamenti spirituali, sia anche adottando tecniche molto pratiche. Siamo immersi in un mondo-di-comunicazione, ma paradossalmente senza un mezzo fra noi e l’interlocutore, ci può capitare di balbettare o sbraitare senza ritegno di fronte alla persona che diciamo di amare.
Non è scontato saper dialogare
Il dialogo di coppia è materia difficile, da iniziare a studiare quanto prima nel percorso della vita coniugale. Dobbiamo ammettere che molto spesso gli esiti di una conversazione dipendono da tantissime variabili connesse ai codici linguistici utilizzati differentemente da uomini e donne, adulti e giovani, oppure dal tono della voce utilizzato, o dal modo di fare domande o dare risposte. Una prima conquista che i giovani sposi, meglio ancora i fidanzati, possono fare è quella di non dare per scontato che amarsi significhi automaticamente saper dialogare.
Primo: ascoltare con pazienza e attenzione
Non è affatto così e il Papa con pazienza invita a compiere un umile tirocinio. Primo ingrediente fondamentale: darsi tempo, tempo di qualità, che consiste nell’ascoltare con pazienza e attenzione, finché l’altro abbia espresso tutto quello che aveva bisogno di esprimere (AL 137). Se facessimo un piccolo esperimento ci accorgeremmo che anche nelle conversazioni più pacate il più delle volte noi non facciamo finire l’interlocutore ma, in modo più o meno grossolano, lo interrompiamo con le nostre parole.
È un esercizio quasi ascetico quello di lasciar finire, di essere così disposti ad accogliere la parola dell’altro da aver fatto quasi fisicamente spazio, fra i pensieri, gli affanni, il rumore di fondo, per dedicarsi interamente all’altra persona. Un noto itinerario di spiritualità coniugale chiama questo tempo speciale il dovere di sedersi, quasi che per ascoltarsi davvero sia importante la stessa posizione dei corpi.
Una palestra aperta a tutte le età
Un cammino lungo, fatto di cadute e ripartenze come possono testimoniare gli sposi un po’ più attempati, ma una palestra, quella del dialogo, che è aperta a tutte le età. Molte volte uno dei coniugi non ha bisogno di una soluzione ai suoi problemi, ma di essere ascoltato. Deve percepire che è stata colta la sua pena, la sua delusione, la sua paura, la sua ira, la sua speranza, il suo sogno (AL 137). Ascoltare ed ascoltarsi, molto prima di saper dare risposte, è il respiro della vita matrimoniale.Giovanni M. Capetta