Don Sergio Colombo. Due ricordi, personali e un po’ “speciali”

Don Sergio con alcuni colleghi, in riva al lago d’Iseo, cena di fine anno scolastico, giugno 1980

Straordinario personaggio della Chiesa di Bergamo, per quasi mezzo secolo. E protagonista non tanto per quello che ha fatto, ma per quello che ha pensato. È don Sergio Colombo, docente in seminario, poi, per oltre trent’anni, parroco di Redona. Per la verità, ha anche fatto. Ma non è per le sue opere che viene ricordato, ma per come ha pensato la Chiesa, la parrocchia, il messaggio evangelico. Se ne parla in questi giorni perché sono già passati cinque anni dalla sua morte. Don Sergio è morto il 10 ottobre del 2013.

È stato organizzato un convegno, in due tappe: la prima il 9 ottobre, la seconda il 13. La prima in seminario, la seconda a Redona. Già nella mattinata del 9 ottobre sono emersi molti ricordi, diverse testimonianze che hanno contribuito a richiamare, con sufficiente nitidezza, alcuni tratti dello straordinario personaggio.

Vorrei contribuire, nel mio piccolo, a quella evocazione, con due ricordi, che non sono emersi finora ma che sono, mi sembra, a modo loro significativi. Sono due ricordi che riguardano gli anni giovanili, di formazione, di don Sergio.

Agli inizi una scrittrice femminista e atea: Simone de Beauvoir

Il primo ricordo è “dotto”, diciamo così. Riguarda la tesi di laurea di don Sergio. Don Sergio si era laureato in filosofia, alla Cattolica di Milano. La sua tesi era uno studio delle opere di Simone de Beauvoir. Simone de Beauvoir è stata un personaggio di primissimo piano della letteratura del XX secolo, e in particolare dell’esistenzialismo francese, insieme con il compagno di una vita, Jean-Paul Sartre. Tante volte l’ho sentito citare I mandarini , romanzo ampiamente autobiografico e poi la vasta autobiografia della scrittrice: Memorie d’una ragazza perbene ; L’età forte ; La forza delle cose. Non l’ho sentito parlare delle ultime opere autobiografiche della De Beauvoir: A conti fatti e La cerimonia degli addii, per il semplice motivo che quei due volumi sono venuti dopo l’avventura universitaria di don Sergio. L’ho sentito invece più volte citare un’opera molto particolare e importante della De Beauvoir, Il secondo sesso, testo di riferimento di tutto il movimento femminista moderno. Penso di poter dire che Simone de Beauvoir ha occupato un vasto spazio degli interessi di don Sergio giovane, tanto che potrebbe rivelarsi utile chiedersi in che misura il pensiero della scrittrice francese ha influenzato le sue idee di moralista e di uomo di cultura.

Intanto è facile una constatazione. All’inizio della formazione di don Sergio sta questa incursione in territorio straniero: una scrittrice, una militante atea e femminista. Tutto inizia, dunque, all’insegna dell’apertura, del dialogo, della curiosità. Don Sergio era già don Sergio allora.

Don Sergio straordinario giocatore di calcio

Il secondo ricordo è marginale, futile. Don Sergio giovane seminarista era uno eccezionale giocatore di calcio. Era un centrocampista che faceva passaggi al millimetro ai compagni attaccanti, ma sapeva segnare anche lui, con delle “fucilate” precise, imprendibili. Di calcio è sempre stato appassionato, molto appassionato e molto competente. Sapeva riconoscere i giocatori in televisione, a distanza, semplicemente da come trattavano la palla e da come correvano, sapeva fare discorsi di strategie calcistiche di altissimo livello. Si è tentati di dire che questo “non c’entra” con la grandezza del personaggio. E invece “c’entra” e molto. Perché dice sinteticamente lo straordinario spessore umano di don Sergio. Mi viene in mente la citatissima frase di Terenzio: “Homo sum, humani nihil a me alienum puto, Sono un essere umano, nulla che sia umano mi è estraneo”, nulla, neppure l’Atalanta. Quanti preti, spesso mediocri moralisti, fanno del moralismo sul calcio, sui soldi, sulla incerta moralità dei giocatori. Don Sergio, moralista di rango, si godeva il calcio e si divertiva.

Ho voluto citare due “dati” marginali, perché lontani nel tempo, perché apparentemente futili ma significativi, mi sembra. Don Sergio si rivela lui, pienamente se stesso, anche prima di essere il docente di morale e prima di essere parroco, punto di riferimento di molti preti e di molte comunità parrocchiali.

E viene il magone, al pensiero che non c’è più e come ci sarebbe utile in questa fase di faticosa svolta nella Chiesa di Bergamo, con le tentazioni ricorrenti di rifugiarsi in sagrestia per difendere quello che c’è già, perché non si ha la fantasia per inventare quello che non c’è ancora.