L’anno 1978 fu caratterizzato da eventi storici fondamentali dal punto di vista sociale, politico e religioso. Quell’anno bisestile, viene ricordato da chi lo visse come “L’anno dei tre Papi”: Giovanni Battista Montini, Albino Luciani e il polacco Karol Wojtyla.
“L’anno dei tre Papi: Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II” (Edizioni San Paolo 2018, pp. 288, 20 euro) è anche il titolo del volume di Orazio La Rocca, Prefazione di Mons. Rino Fisichella. Nel testo, “Dedicato a mio fratello Vito, maestro d’arte e scultore”, La Rocca, vaticanista del settimanale “Panorama”, collaboratore di Famiglia Cristiana e dei quotidiani regionali del gruppo GEDI, che per oltre trent’anni ha seguito l’informazione vaticana e religiosa per “La Repubblica”, scrivendo anche per il settimanale “L’Espresso”, ripercorre quei giorni particolari dal 6 agosto, data della morte di Paolo VI, fino al 16 ottobre, quando Wojtyla salì al soglio di Pietro.
Il libro, un vero e proprio reportage giornalistico, contiene interviste preziose a testimoni privilegiati: Joseph Ratzinger, cardinale elettore nei due conclavi del ’78, don Diego Lorenzi, segretario personale di Giovanni Paolo I, Gianni Gennari, amico personale di Papa Luciani e Stanislaw Dziwisz, all’epoca segretario personale di Papa Wojtyla e oggi cardinale.
Il 14 ottobre, Papa Montini, già beatificato da Papa Francesco il 19 ottobre 2014, sarà proclamato Santo insieme a Monsignor Oscar Arnulfo Romero. La canonizzazione si terrà durante il Sinodo dei vescovi dedicato ai giovani.
Occasione questa per rievocare in una nostra intervista al vaticanista La Rocca, che ha scritto per “Il Messaggero”, “L’Osservatore Romano”, “Radio Vaticana “e l’Ufficio di Comunicazione Sociale della Cei, “L’anno dei tre Papi”, un anno nodale, che costituì un momento-chiave per la vita della Chiesa.
Due conclavi e tre pontefici. Settantuno giorni intensi per il Vaticano, passaggio cruciale per la storia della Chiesa. Ce ne vuole parlare?
«Nell’Anno dei tre Papi, il 1978, sul Soglio di Pietro si alternarono Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II. Tre pontefici diversi per età, carattere, formazione e cultura, ma che segnarono tutti e tre in appena 71 giorni la vita della Chiesa cattolica, proiettandola verso il Terzo Millennio pur partendo da episodi drammatici e inediti come la morte di due pontefici in poco più di un mese e l’elezione di un papa non italiano dopo circa 450 anni dall’ultima elezione papale che incoronò un olandese. Una novità cui nessuno era adeguatamente preparato, ma che grazie al feeling che scoppia subito tra il polacco Karol Wojtyla-Giovanni Paolo II e gli italiani, in particolare i romani, si rivelò positiva e salutare per il rinnovamento della Chiesa».
“Ho terminato la mia corsa, ho combattuto la buona battaglia, ho difeso la fede”. Paolo VI muore la sera di domenica 6 agosto 1978 nella residenza estiva papale di Castel Gandolfo. Montini era consapevole di avere ormai poco da vivere?
«Sì, Paolo VI sapeva che ormai gli restavano pochi giorni, colpito da una forma artrosica acuta che gli impedì negli ultimi mesi di muoversi come avrebbe voluto. Tuttavia, grazie a una mente sempre lucida e presente, non gettò mai la spugna. Un esempio per tutti, i grandi sforzi compiuti per tentare di salvare la vita di Aldo Moro rapito dalle Brigate Rosse, la celebrazione dei funerali nella basilica di S. Giovanni in Laterano, pur senza la presenza del corpo del leader Dc per scelta dei suoi familiari, dove ebbe la forza di lanciare un doloroso lamento a Dio come un figlio verso il Padre chiedendogli “perché non ci hai ascoltato?”. A Castel Gandolfo si rifugiò, quasi, per salvarsi dalla calura, ma soprattutto per cercare di dominare i forti dolori del male che lo stava schiacciando. Tuttavia, in vista della domenica del 6 agosto, giorno della morte, aveva preparato il testo dell’Angelus che però non fece in tempo a leggere. Fu la sua ultima fatica pastorale rimasta inedita, che nel libro pubblico integralmente, dalla quale emerge un pastore che, pur nell’aggravarsi della malattia, pensa ai poveri che “non possono andare in vacanza”, ai disoccupati, agli emarginati. Vero e proprio lascito per il successore. Il giorno della morte riesce, con uno sforzo immane, a concelebrare anche la Messa col suo segretario, monsignor Pasquale Macchi. Vero pastore fino alla conclusione della sua vita terrena».
Ha definito Papa Montini come “uomo di Chiesa e del dialogo universale per antonomasia che, in tutta la sua vita è stato sempre al servizio degli uomini e delle donne del suo tempo, specialmente i più bisognosi di aiuto. Senza guardare a orientamenti politici e religiosi”. Desidera chiarire il Suo pensiero?
«È vero, in estrema sintesi, Paolo VI è stato un uomo del dialogo, vicino ai poveri tra i più poveri, senza guardare a orientamenti politici e religiosi. Pochi esempi, stralciati dal suo curriculum vitae. Durante la seconda guerra mondiale, da giovane monsignore di Curia, Assessore agli affari generali, Montini, su delega di Pio XII, oltre a mettere a disposizione degli ebrei romani conventi e parrocchie romane, dette ospitalità nei locali del Seminario della basilica di San Giovanni in Laterano a esponenti politici di tutti i partiti – comunisti, socialisti, democristiani, liberali, Partito d’Azione, antifascisti – nascondendo persino i dirigenti del Cnl (Comitato nazionale di Liberazione) per organizzare in territorio extraterritoriale le operazioni dei partigiani. Una verità storica che purtroppo non molti ricordano ma che nel libro ho ampiamente descritto, facendo nomi e cognomi. Altra prova della libertà di pensiero di papa Montini, il suo netto rifiuto di far votare tra i documenti varati dal Concilio Vaticano II, che lui portò brillantemente a termine, la scomunica contro il comunismo. Non meno importanti i suoi interventi a favore del riscatto dei poveri, contro le guerre e la corsa agli armamenti, l’avvio del dialogo ecumenico e l’apertura al mondo ebraico con il primo viaggio in Terra Santa di un papa nel gennaio del 1964, durante il quale incontrò anche il patriarca ecumenico Atenagora. Paolo VI guardava all’uomo, alla donna, senza farsi condizionare da apparenze, etichette e scelte di parte».
“Morto il papa che aveva realizzato il Concilio Vaticano II, viene scelto come suo successore il patriarca di Venezia che, fin dal sorriso spontaneo, sembrava aprire una nuova epoca dopo la serietà espressiva di Papa Montini. Quel sorriso, tuttavia, durò un istante” scrive Mons. Fisichella nella Presentazione del volume. La morte di Giovanni Paolo I, eletto Papa il 26 agosto 1978 e scomparso il 28 settembre successivo, che Bergoglio vuole fare santo, ha continuato a essere accompagnata da interrogativi mai completamente chiariti. Che cosa ne pensa al riguardo?
«Sull’improvvisa morte di Giovanni Paolo I si è scritto tanto, anche e soprattutto a sproposito. Certamente, un pontefice che scompare ad appena 33 giorni dall’elezione è qualche cosa a dir poco impressionante, che in quei giorni scaraventò la Chiesa negli anni più bui del Medio Evo. Non mancarono “partiti” dei complotti e persino dei sostenitori di tesi a dir poco sanguinarie ordite nella Curia vaticana per zittire un papa che fin dai primi giorni aveva fatto capire che dietro al sorriso operava la forte tempra di un grande riformatore. La verità vera è che papa Luciani morì schiacciato dal peso delle enormi responsabilità che si trova ad affrontare Oltre Tevere dopo gli anni trascorsi nella romantica, per molti versi, Venezia, dove tuttavia non si risparmiò come Patriarca. Va pure detto che il cardinale Albino Luciani arriva in Vaticano con un fisico non proprio da atleta, con acciacchi e malanni non perfettamente curati. Le fatiche affrontate da nocchiero della Navicella di Pietro fanno il resto. Come nel libro evidenzio raccontando, per la prima volta, l’ultima notte di Giovanni Paolo I quando, poche ore prima di essere trovato morto nel suo letto con fogli di appunti in mano, gli occhiali ancora inforcati, con un inserviente della Casa Pontificia si sfoga, quasi strilla disperato, dicendo di non essere in grado di andare avanti e di non avere le forze sufficienti per governare adeguatamente la Chiesa. Libri con verità precostituite, persino film di successo, hanno sposato sempre la tesi del complotto e dell’assassinio di Giovanni Paolo I. Niente di più falso. Luciani non aveva la forza sufficiente per andare avanti. Purtroppo. Morì schiacciato dal peso del papato anche a causa di una salute malferma e non perfettamente curata in passato».
L’elezione di Giovanni Paolo II che traghettò la Chiesa nel terzo Millennio, colse tutti spaesati. Come si arrivò all’elezione di Papa Wojtyla, alla guida di uno dei pontificati più lunghi della storia, ben 27 anni?
«Nel primo Conclave dell’agosto del 1978, il cardinale di Cracovia Karol Wojtyla fece capolino nell’urna racimolando un po’ di voti. Ma senza suscitare grande attenzione, anche perché nel Sacro Collegio era ancora molto radicata la tradizione di votare un papa italiano. In effetti, la pattuglia di papabili italiani era molto consistente con nomi di peso come Benelli, Siri, Poletti, Colombo. Tanto per citarne alcuni tra i più noti. Ma come si vedrà la notorietà, si trasformò in un boomerang per i troppi “partiti” italiani che si erano formati tra i cardinali elettori. E fu così che dalle urne spuntò la sorpresa Albino Luciani, un nome non noto al grande pubblico ma che sarebbe piaciuto molto a Paolo VI. Nel secondo Conclave, gli italiani si coalizzarono intorno a Siri e Benelli creando una pericolosa spaccatura nel Conclave, che nel giro di poche ore virò sul giovane cardinale di Cracovia, Karol Wojtyla, che fu eletto papa a soli 58 anni. Una scelta storica per tanti importanti motivi, essendo Giovanni Paolo II primo papa di un Paese dell’Est, primo papa polacco, primo papa nato e cresciuto in un paese comunista, che in gioventù era stato anche un fiero oppositore dell’invasione nazista della Polonia. In definitiva una novità storica, suffragata anche dalla forza del personaggio, che, non sarà stata certamente solo una coincidenza, sarà seguita una decina d’anni dopo dalla caduta del muro di Berlino e dal disfacimento dell’Unione Sovietica. Ma papa Wojtyla in 27 anni di pontificato è stato tante altre cose ancora per quella Chiesa cattolica che ora lo venera come il Santo del Terzo Millennio».
“Montini, Luciani e Wojtyla, pur con caratteristiche diverse, hanno sintetizzato uno snodo nella vita del mondo e dell’Occidente, tutti e tre ci hanno educato ad amare Dio e ad amare i fratelli” ha dichiarato recentemente il Segretario di Stato vaticano, il Cardinale Pietro Parolin. I tre papi del 1978 sono dunque uniti da un forte comune denominatore?
«Certamente. C’è un filo rosso che unisce i tre papi del 1978, un forte comune denominatore come giustamente lei dice, che ha nelle riforme conciliari il carattere più forte. Tre grandi riformatori che hanno dato forza e slancio alla Chiesa cattolica facendola dialogare col mondo contemporaneo ma sempre alla luce della Tradizione evangelica. Un comune denominatore plasmato anche da valori come l’attenzione ai poveri e il riscatto degli ultimi, attraverso discorsi memorabili all’Onu ed encicliche sociali, che hanno inciso anche sulle scelte politiche in materia di lavoro, dignità della donna, sollecite attenzioni alle periferie del mondo. Scelte pastorali cui partecipa anche il papa dei 33 giorni, Giovanni Paolo I, senza viaggiare e senza scrivere encicliche, ma con appassionati appelli e sollecitazioni fatte fin dal primo giorno da pontefice. Valori pastoral-papali promossi a “sei mani” che hanno fatto da battistrada in seguito alle scelte pontificie di Benedetto XVI, il più grande papa teologo, e di papa Francesco, il pontefice che non a caso apporrà la sua firma alla santificazione di Giovanni Paolo II e di Paolo VI, e che presto beatificherà Giovanni Paolo I, del quale lo scorso novembre 2017 ha proclamato le eroicità delle virtù, dichiarandolo quindi venerabile».