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Arriva il giorno in cui ti accorgi di essere diventata come tua madre: un po’ meno zen di quanto credessi
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Mamme 3.0
·2 min lettura

Arriva il giorno in cui ti accorgi di essere diventata come tua madre: un po’ meno zen di quanto credessi

Silvia Butera·25 Ottobre 2018
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Di una cosa ero assolutamente certa fino a qualche anno fa: non sarei mai diventata come mia madre. Bravissima donna, per carità, ma no, non sarei mai stata come lei. Poi un bel giorno, proprio mentre stai urlando ai tuoi figli di muoversi, ti blocchi di scatto e i tuoi più reconditi timori si materializzano. Sei diventata come tua madre.

Ti guardi dall’esterno a mo’ di drone che ti sorvola la testa, focalizzi l’immagine, la blocchi. Tu stai gridando. Sì, tu che t’immaginavi mamma zen capace di mantenere la calma anche con una decina di bambini attaccati alle caviglie. Tu che sei per il dialogo, tu che hai letto tanti libri e conosci a perfezione la teoria. Quella secondo la quale nei momenti difficili basta un abbraccio per calmare tuo figlio, quella secondo la quale le sberle non servono a nulla. Ecco, tu stai urlando. E soprattutto hai perso di vista anche l’obiettivo. Il concetto è che non ne puoi più, i tuoi figli non ti ascoltano, tu non sai più nemmeno per cosa esattamente li stavi sgridano, se potessi li prenderesti e li lanceresti lontano. “Alice smettila di tirar calci a Tommy. Tommaso non piangere e mettete le scarpe. Alice la giacca. Noooo non picchiatevi. Chiedetevi scusa. E comunque è tardi”.

No, non posso esser diventata come mia madre, che urlava e non otteneva, che si focalizzava più sull’esigenza di avere figlie perfette che su un “ti voglio bene” sussurrato prima di andare a letto. “Muovetevi!!!!”. Li strattoni pure, ne afferri uno per il braccio e l’altra per la gamba, sequestri i giocattoli con i quali si stanno picchiando. E all’improvviso, proprio quando ormai non ci speri più, il miracolo accade. I bambini ti guardano, capiscono che sei sul disperato andante, si fermano e quasi collaborano. Si infilano le giacche, tu prendi borsa, borsone, valigetta del pc, sacchette varie della scuola materna, apri la porta. Li guardi, finalmente calma. E ti senti in colpa. Sì, sei isterica, sei nevrotica, sei come tua madre. “Scusate bimbi, ma è tardi e ho bisogno che mi aiutiate. Dovete ubbidirmi, almeno ogni tanto suvvia. Altrimenti mi parte l’embolo”.

Sorridi, li abbracci, stampi due baci sulle loro guancette morbide e un po’ (non del tutto) ti perdoni. Perché ci provi, ce la metti tutta per essere una buona madre ma chiaramente non sei perfetta. E ti sorge il dubbio che forse anche per la tua, di mamma, valesse la stessa cosa. Con la consapevolezza che al 90% quindi anche i tuoi figli di te ricorderanno soprattutto i lati peggiori sali in macchina, accendi la radio, li porti all’asilo. Chiami tua madre. E per una volta tanto provi a guardarla con occhi nuovi.

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