Il mistero della morte. Alla fine, come all’inizio, si chiama la mamma

I giorni del mese di novembre, che per la Chiesa inizia con la solennità di tutti i Santi e, il 2 novembre, con la Commemorazione di tutti i fedeli defunti, danno da pensare. Non ci sono “ma” che tengano: la morte è un problema e parlarne è difficile. Chiaramente il discorso cambia a seconda che si provi ad accostare questa realtà da credenti o da non credenti. Peraltro, se si prova a gettare lo sguardo sulle diverse tradizioni religiose (mi è capitato di leggere qualcosa su quelle politeiste orientali e ne sono rimasto piacevolmente colpito), le modalità di leggere il “post mortem” cambia sensibilmente di cultura in cultura.

Si può solo balbettare sul “dopo”

È interessante comunque il fatto, noto ma sempre delicato, che ci fa prendere coscienza di come noi possiamo parlare solo di quanto accaduto prima della morte e balbettare qualcosa, in base alla nostra scelta di fede o meno, sul dopo. Ma su quel momento che tanto ci fa paura non sappiamo dire nulla, se non che c’è qualcuno che è riuscito ad affrontare questo momento con serenità e, talvolta, eroicità (penso a San Massimiliano Kolbe, al soldato Fabrizio Quattrocchi ecc.).

Quando arriva la morte, persone anziane chiamano “mamma”

Un aspetto in particolare però mi ha fatto riflettere in questi giorni: non è la prima volta che ci penso, ma due esperienze recenti hanno riacceso la riflessione su quanto ora propongo. A gennaio è morto, a 89 anni, don Franco Cassina, per 25 anni a servizio nella nostra comunità di Grumello del Monte. Negli ultimi giorni, una delle pochissime parole che ripeteva era “mamma”. Lo scorso 10 novembre è morta, nel nostro Istituto Palazzolo di Grumello, la suora delle Poverelle del Beato Palazzolo più anziana: suor Martina, che aveva ben 108 anni. Anche lei, negli ultimi giorni, con voce flebile, cercava lei, la sua mamma. E quante altre persone, giunte agli ultimi istanti della loro esistenza terrena, prima dell’ultimo respiro, come ultima parola chiamano la loro mamma! Questo mi commuove, tanto. Non sto a cercare le possibili spiegazioni. Mi si dirà che la psicologia ha risposte, che molte di quelle persone non sono del tutto coscienti (ma molte lo sono eccome!) e che non c’è nulla di trascendente in questo: certamente, sarà così, non cerco di fare alcuna apologia.

“Adesso e nell’ora della nostra morte”

Non sono competente di dinamiche intrapsichiche, quindi mi fido di chi ne sa. Però provo una profonda commozione di fronte al frequente verificarsi di questi episodi. In più di un caso mi è sfuggita qualche lacrima: vedere queste persone, che hanno vissuto tanti anni, che hanno attraversato grandi sofferenze, chiamare con insistenza colei che le ha messe al mondo, mi suscita domande profonde. È impressionante come nel momento estremo della vita, quello della fine, momento peraltro necessario perché vi sia anche un fine, vi sia questo desiderio di rientrare nel grembo materno, di tornare là dove tutto ha avuto inizio, all’atto d’amore che ci ha visto venire alla luce, allo sguardo materno e all’abbraccio che ha custodito i nostri primi respiri in questo mondo. In questo si può intravedere forse la speranza che, giunti in prossimità dell’ultimo respiro, ci sia anche in quel momento qualcuno che non ci lascia soli, come all’inizio.

Proseguo con la preghiera e affido i defunti, i miei cari, quelli delle mie comunità e le famiglie ancora lacerate dal dolore, allo sguardo della Madre che non ci abbandona e, nella fede, credo presente nella nostra vita, “adesso e nell’ora della nostra morte”.