L’accoglienza diffusa, l’aiuto ai richiedenti asilo. “Siamo stati quasi bravi”, ma all’orizzonte c’è il decreto sicurezza

Benvenuti a Bergamo, città dei mille… paradossi. Città in cui coabitano realtà contrastanti, ma allo stesso tempo troppo silenziose per essere raccontate.

Se da una parte abbiamo l’Accademia dell’Integrazione e la proposta di un emendamento per facilitare l’iter dei richiedenti asilo, dall’altra ci si imbatte in una commissione territoriale che dal 2016 ha analizzato 2.564 domande di permesso di soggiorno accettandone solo 596, il 23%. Una percentuale irrisoria, che desta preoccupazioni a chi lavora nel settore come educatore e segue i ragazzi nel lungo percorso che li porta davanti alla commissione.

Nonostante gli ostacoli e la preoccupazione di vanificare un lavoro che può durare anche più di un anno, gli operatori e gli educatori non si scoraggiano. In Val Seriana, l’esperienza dell’accoglienza diffusa è ormai in atto da due anni, ripercorsi nell’incontro “Siamo stati quasi bravi” tenutosi all’oratorio di Albino.

“Ad oggi ad Albino ospitiamo nove richiedenti asilo provenienti dall’Africa Subsahariana. I ragazzi sono divisi in due appartamenti e, prima di alloggiare qui, era stati collacati al CAS di Gandino che ha chiuso nel dicembre del 2017 –spiega Luca Blumer, educatore della cooperativa La Fenice -. Abbiamo riscontrato che in appartamento l’integrazione avviene in modo più semplice ed efficace. All’inizio abbiamo affrontato alcune difficoltà, ma ora stiamo ottenendo buoni risultati.

I ragazzi riescono a vivere meglio la comunità tramite il volontariato e, con la possibilità di uscire sul territorio, possono entrare in relazione con diverse realtà, dall’oratorio alla Caritas, dai volontari di “Legame di Pane” a quelli di “Mercato e cittadinanza”. Hanno una vita più normale perché devono gestire uno spazio loro, tra spese e gestione degli spazi. Inoltre negli appartamenti avviene un incontro tra culture che consente ai ragazzi di imparare meglio l’italiano, unica lingua in comune. Tutti gli ospiti sono seguiti da un operatore che ha il compito di accompagnarli nelle faccende quotidiane, ma sempre solo per lo stretto necessario, perché l’obiettivo è l’autonomia di ciascun ragazzo”.

La realtà albinese non è l’unica esperienza di accoglienza in Val Seriana. In Valle del Lujo, dopo una contestazione inziale, i parroci si sono uniti e si sono creati diversi gruppi di volontari atti all’accoglienza. La comunità di Comenduno, fino a poco tempo fa, ha ospitato due coppie giovani negli appartamenti disponibili in oratorio. In questo caso l’accoglienza è stata facilitata dalla religione in comune e dall’arrivo di una bambina.

Il quadro generale della Val Seriana è, però, fatto di luci e ombre. “Quando mi sono rapportata con questa realtà sono rimasta stupita –racconta Chiara Visini, educatrice della cooperativa Ruah-. La Val Seriana ha una storia di accoglienza e apertura. I volontari che si spendono per questa causa ci sono, ma è venuto a mancare il supporto collettivo. Gran parte della popolazione rimane indifferente e ciò va a ribadire la necessità di creare una rete. I richiedenti asilo riescono ad amalgamarsi nel tessuto sociale grazie ai volontari, ma bisogna comunque avere un riferimento professionale perché, spesso, chi si vuol spendere in maniera volontaria si lascia prendere dall’emozione e non riesce a sostenere il richiedente asilo in tutto il percorso per ottenere il permesso di soggiorno”.

Un iter, quello dei richiedenti asilo, che inizia da lontano e non è privo di shock culturali. “Dopo lo sbarco –prosegue Chiara Visini- queste persone stanziano per circa una settimana in Sicilia, luogo in cui avviene lo smistamento tra le varie regioni italiane e gli altri paesi dell’Unione Europea. I richiedenti asilo vengono, poi, collocati nei centri d’accoglienza e lì attendono la valutazione della commissione territoriale per circa un anno. Il colloquio a cui viene sottoposto il richiedente dura un’ora, un’ora in cui deve spiegare chi è e la motivazione che lo ha spinto ad emigrare in Italia. Una volta ascoltato il ragazzo, la commissione dà il suo esito in due settimane. Se l’esito è positivo il richiedente ha ottenuto il permesso di soggiorno, in caso contrario è possibile presentare ricorso entro trenta giorni al tribunale di Brescia con tempi d’attesa che si prolungano dai sei mesi all’anno. Al no del tribunale di Brescia, il richiedente asilo dovrebbe essere espulso, ma è una procedura difficile da attuare che porta all’aumento degli irregolari”.

A far toccar con mano la realtà ai presenti all’incontro è Gabre, un ragazzo del Burkina Faso, che dopo due anni in cui si è impegnato per ottenere il permesso di soggiorno, ha ricevuto il diniego della commissione territoriale. “Fa male”, ha commentato il ragazzo visibilmente segnato dall’esperienza. “I ragazzi appena arrivati all’appartamento erano felici –racconta Giacomo, l’operatore del progetto-. Io, all’inizio, ero un capo per loro, ma con il passare del tempo mi hanno iniziato a chiamare per nome. Questo è sintomo d’integrazione, ma il clima in cui si ritrovano a vivere dopo il diniego è quello di un totale abbattimento. Si impegnano un anno intero per integrarsi e poi al momento del colloquio con la commissione territoriale vengono etichettati come bugiardi, perché la storia che raccontano non viene ritenuta vera”.

Con il decreto sicurezza la situazione non può che peggiorare. Analizzando i dati delle richieste di permesso di soggiorno dal 2016 ad oggi, dal 23% a cui la commissione territoriale ha dato esito positivo sono scaturite storie diverse. 137 persone hanno ottenuto l’asilo, 100 la protezione sussidiaria e 359 la protezione umanitaria. Con l’attuazione del decreto Salvini, la protezione umanitaria viene rilasciata solo in rarissimi casi e la sua durata è abbreviata da due a un anno.

Inoltre, cambia anche la modalità con cui la commissione valuterà il richiedente asilo. La commissione territoriale avrà a sua disposizione una lista di paesi sicuri, dai quali non si ritiene sia necessario emigrare. La quale, quindi, determina il diniego per i richiedenti provenienti dagli stati in lista. Peccato, però, che nella lista dei paesi sicuri ci siano stati come Egitto, Turchia e Sudan. Oltre a sconvolgere il lavoro della commissione territoriale, il decreto sicurezza va ad azzerare le forme di accoglienza come gli Sprar e le accoglienze diffuse.

Queste scelte porteranno a un inevitabile aumento dei dinieghi e quindi dei rimpatri che, però, nel 2017 sono stati solamente 6.340. Tutto il resto dei richiedenti asilo, dopo il diniego, finisce nel circolo dell’illegalità: accattonaggio, lavoro nero e spaccio sono le realtà più diffuse a cui i respinti dalla commissione vanno incontro. Rimpatri, dunque, che si trasformano in irregolari.

In questo momento storico, chiusura può essere davvero sinonimo di sicurezza?