In un clima sempre più teso in Italia, dove i termini che offendono e discriminano sono sempre più diffusi, c’è chi cerca di andare controcorrente e ridare il giusto valore alle parole, ai luoghi, agli oggetti e ai simboli. Si tratta del CEM (Centro Educazione alla Mondialità), un’Associazione di formatori di Educazione Interculturale che per 50 anni, fino al 2016, ha operato in Italia con i Missionari Saveriani. Un tema affrontato in un seminario svoltosi di recente proprio nella nostra città, dal titolo “Il cosario dell’intercultura – parole comuni per sentirsi diversi”. “Il titolo nasce da un disagio provato all’interno del Cem – spiega Roberto Morselli, filosofo e formatore Cem -, ma che si sperimenta nel quotidiano, nell’ascoltare espressioni che speravamo di non incontrare più, ma che circolano ancora. Parole spesso aggressive, che attivano i bassi istinti e rendono difficile il riconoscimento empatico, parole che semplificano fino a banalizzare la realtà”. E aggiunge: “Crediamo che tutto questo non vada sottovalutato: qualcuno pensa che ci si debba concentrare sulle azioni, ma noi pensiamo che si deve iniziare dalle parole: sono diventate le armi del contemporaneo”. Brunetto Salvarani, teologo e giornalista, ha portato la riflessione sul ruolo delle religioni in questi periodi bui: “Vi è l’urgenza di uno sguardo nuovo, informato, interdisciplinare. Dove sono le religioni in questo periodo storico così pericoloso? Dobbiamo riscoprire la nostra identità di figli e figlie: il Vangelo deve generare una nuova umanità. Nella Bibbia possiamo trovare gli anticorpi per recuperare la nostra dimensione di umanità: è un libro sapienziale capace di parlare a tutti quanti, se siamo in grado di saperlo leggere. I personaggi della Bibbia sono donne e uomini che cercano di dare un senso alla propria vita”. Aluisi Tosolini, pedagogista e dirigente scolastico, esperto di educazione interculturale, ha portato come esempio tre parole destruens e altrettante costruens che descrivono la situazione contemporanea: “La prima parola distruttiva e negativa è “ira”, la seconda “lo sciame e individualismo di massa” e la terza “vite di scarto”. Parole che si legano l’un l’altra: l’ira guida questo agglomerato di api, ossia le persone, che si sposta con unitarietà, che rappresenta i vari “American first”, “prima gli italiani”, dove si ragiona solo per il sé e non per l’insieme e di conseguenza porta a vite di scarto poiché se ciò che conta sono io, gli altri possono essere scartati”. Le parole costruttive e positive prese ad esempio sono invece state “Re – immaginare il soggetto, re – immaginare il pianeta”, “contesti eterogenei”, con riferimento all’intercultura, e “cittadinanza”, inteso come concetto legato al mondo della scuola, vista come luogo che ha il compito di rimuovere gli ostacoli e fare sì che la cultura ed i processi di apprendimento siano processi di trasformazione. I partecipanti hanno poi preso parte a dei laboratori formativi, sperimentando, in un percorso a rotazione, strategie e metodi partecipativi di educazione interculturale, al fine di tracciare possibili itinerari operativi: “Riteniamo opportuno che accanto a dizionari e alfabeti trovi posto, negli scaffali del buon educatore e docente interculturale, anche il “Cosario dell’Intercultura”: un repertorio di oggetti e strumenti della vita quotidiana che hanno un alto valore interculturale. Oggetti simbolo che vorremmo diventassero oggetti indagatori per riempire il nostro Cosario e permettano di saltare e abbattere muri”. Quattro le parole principali che hanno guidato questo momento formativo, per una riflessione intorno alle parole che a loro volta costruiscono le nostre visioni del mondo: scarpe, mappe, specchi e tappeti. Scarpe che rimandano a cammini, migrazioni, viaggi, attraversamenti; mappe come rappresentazioni della realtà, confini e frontiere, inclusione ed esclusione; specchi come alterità, identità, sguardi, punti di vista ed infine tappeti come intreccio di storie, accoglienza, soglia, ospitalità, convivialità.