In viaggio tra i classici di Natale con don Paolo Alliata: tra le pagine c’è il respiro di Dio

“È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”, è la frase cardine de “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry. Se è vero quello che la volpe rivela al Piccolo Principe, in questo periodo di Avvento che ci accompagna fino a Natale, impariamo ad abbandonare il superfluo per ascoltare la Parola di Dio. Nel volume “Dove Dio respira di nascosto” (Ponte alle Grazie Editore 2018, Collana “Saggi”, pp. 168, 14,00 euro) l’autore, Paolo Alliata, rintraccia la Parola di Dio “Tra le pagine dei grandi classici”, come recita il sottotitolo del testo. Non solo. Nella cultura popolare e in quella alta, nei film da cineteca e in quelli d’animazione, nei miti classici e nella letteratura di ogni tempo, don Paolo ritrova la Parola di Dio che respira in ogni angolo della Terra. Alliata, sacerdote innamorato delle parole che nutrono, insegue questo respiro, così umano e così divino per ritrovarlo in film e in libri indimenticabili e sorprendenti.

Don Paolo Alliata è nato a Milano nel 1971, si è laureato in Lettere Classiche all’Università degli Studi di Milano, è stato ordinato prete dal cardinale Martini nel 2000 e dal 2016 è vicario della comunità pastorale per la parrocchia milanese di Santa Maria Incoronata. È convinto che serva un linguaggio nuovo che si annida nei grandi classici, nelle narrazioni e nelle parole degli artisti dei nostri tempi per parlare di fede, amore, umanità e pazienza. Un linguaggio che sia simbolico, narrazione, proprio come il Vangelo.

Don Paolo è vero che prende in prestito le frasi dei classici, per esempio, per le sue omelie della domenica mattina, per una serie di incontri biblici, per spiegare ai bambini il catechismo e ai liceali il cristianesimo?

«Non faccio nulla di nuovo: i discepoli di Gesù lo fanno da tanti secoli… Le grandi tradizioni religiose si sono da sempre espresse in riti, miti, elaborazioni artistiche e linguistiche di ogni genere, nel desiderio di metter mano a una propria visione del mondo, esplorando il senso profondo dei grandi misteri della vita, della morte, dell’amore e della creazione. È tanto bello farlo anche oggi, attingendo allo sconfinato bagaglio di tradizioni che le culture del mondo e dei tempi ci hanno consegnato. Tutta questa multiforme e impetuosa ricchezza emerge dal cuore di Dio, cioè dalla sua Parola e dal suo Respiro. Se per raccontare il senso profondo dell’ultima cena di Gesù, o della discesa dello Spirito sugli apostoli, troviamo un’immagine convincente e suggestiva nel “Pranzo di Babette” di Karen Blixen, perché non partire da lì?».

All’inizio del “Canto di Natale” di Charles Dickens, mister Scrooge appare tutto avvoltolato dentro le catene della sua avidità, l’anziano è schiavo e non se ne accorge. Ci vuole il fantasma di Marley, il socio morto da qualche anno, per aprirgli gli occhi. Quali sono, oggi, le catene che ci trattengono, il sonno in cui siamo immersi e di cui non ci accorgiamo?

«È una domanda cui non so rispondere. È probabile, però, che tra cent’anni i nostri nipoti si volgeranno nella nostra direzione e ci chiederanno: “Ma come facevate a non accorgervi delle vostre catene? Come potevate non rendervene conto?”. È quello che chiediamo noi ai nostri genitori e nonni, quanto al fascino che esercitarono su di loro le ideologie violente e brutali del XX secolo. Posso immaginare che la domanda allibita dei nostri discendenti riguarderà la catastrofe ecologica che ci incalza, o l’insostenibilità del ritmo di produzione e sfruttamento di risorse in cui siamo impegnati. Svegliarsi, destarsi dal sonno dello stordimento collettivo, è sempre difficile, mai scontato. La storia ci insegna che è la voce dei profeti a scuotere le coscienze, a destare culture addormentate o allucinate alla loro propria dignità e al proprio senso di responsabilità. Chiediamo il dono di voci profetiche, ne abbiamo un bisogno evidente».

«Joyeux Noël», da Lei citato nel libro, è il titolo di un film del 2005, regia di Christian Carion, candidato all’Oscar come miglior film straniero, che ricostruisce lo straordinario episodio storico della notte di Natale del 1914. La Grande Guerra fu un conflitto di trincea ma il nostro è un mondo che le trincee le conosce bene, non è forse vero?

«Nella predica di Natale dello scorso anno, che riporto anche nel libro, citavo un dato: nel 1989, al crollo del muro di Berlino, c’erano nel mondo quindici muri di separazione tra nazioni. Oggi ce ne sono settanta, vale a dire più di diecimila chilometri di cemento e filo spinato. Ma temo sia un dato già vecchio, andrebbe aggiornato con numeri più consistenti. Alcuni di questi muri li conosciamo bene. Ce ne sono di evidenti, ce ne sono di invisibili. I più tenaci e pericolosi sono quelli invisibili, ovviamente: sono quelli che ci oscurano la vista, che ci impediscono di vedere chi non vogliamo vedere. Nei Vangeli, e più complessivamente nei grandi racconti biblici, troviamo d’altra parte l’occasione per acquisire una consapevolezza preziosa: chi si chiude, a lungo andare s’impoverisce e scompare. Il nostro rischio non è di morire per contaminazione, ma di morire per asfissia. La contaminazione è feconda, o quantomeno un rischio da correre. Ripenso a Primo Levi, che nel suo “Il sistema periodico”, a proposito dello zinco, scriveva: “Il così tenero e delicato zinco, così arrendevole davanti agli acidi, che se ne fanno un solo boccone, si comporta invece in modo assai diverso quando è molto puro: allora resiste ostinatamente all’attacco […] l’elogio dell’impurezza, che dà adito ai mutamenti, cioè alla vita […] Perché la ruota giri, perché la vita viva, ci vogliono le impurezze, e le impurezze delle impurezze: anche nel terreno, come è noto, se ha da essere fertile. Ci vuole il dissenso, il diverso, il grano di sale e di senape: il fascismo non li vuole, li vieta, e per questo tu non sei fascista; vuole tutti uguali e tu non sei uguale. Ma neppure la virtù immacolata esiste, e se esiste è detestabile”».

Quanto è importante nel caos mediatico del Terzo Millennio ritrovare il “respiro” di Dio a partire dalla cultura, che fa anche da bussola per la vita, per andare oltre la superficialità e le manipolazioni che insidiano molte persone?

«Non possiamo vivere senza respiro. Non possiamo resistere a lungo senza intimità. Il respiro è anche un’immagine di intimità. “Dio ci aspetta alle radici”, scrive Rilke. Se non scendo lì, a lungo andare la mia sorgente interiore si inaridirà. La grande convinzione della tradizione biblica è che Dio respira al fondo delle cose, che tutte emergono dal caos originario, perché il Creatore le chiama per nome. Dio mi chiama per nome. Al fondo di me mi chiama per nome, e il suo respiro è intrecciato al mio: questa è la sorgente della mia esistenza. Non possiamo diventare essere umani ricchi e fecondi di vita, se lasciamo che questa sorgente interiore rimanga sepolta sotto ansia, fretta, angoscia di dover arrivare dappertutto: la fretta è la grande nemica della vita, come anche dell’amore. Ecco perché cito spesso le parole della grande Etty Hillesum: “Dentro di me c’è una sorgente molto profonda. E in quella sorgente c’è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più spesso essa è coperta da pietre e sabbia: allora Dio è sepolto. Allora bisogna dissotterrarlo di nuovo”».

Qual è a suo parere il libro che meglio interpreta l’autentico spirito del Natale?

«Posso solo dire che ognuno ha i suoi riti: tra i miei, all’arrivo dell’Avvento, c’è quello di guardare ogni anno il film “Il piccolo Lord”. Lo trovo un’immagine potente e suggestiva del mistero del Natale: il bimbo venuto da lontano, la sua presenza e il suo incondizionato amore che liberano un po’ per volta il vecchio nonno aristocratico dalla sua arcigna incapacità di muoversi (la gotta che lo affligge, l’irrigidimento pluridecennale nella relazione con la sorella, la gelida mancanza di compassione nei confronti dei dipendenti). Sarà l’amore del bimbo straniero, il suo sguardo pieno di calore, a rivelare all’anziano la schiavitù in cui si è richiuso, e a ridestare alla vita quel cuore indurito dal ghiaccio. Mi paiono immagini potenti per raccontare il senso profondo del Natale, no?».