A Natale c’è anche chi insulta e molti sono preti

Foto: don Luca Favarin, al centro di polemiche recenti

Il prete che non fa il presepe

Ha suscitato scalpore, nelle scorse settimane, la vicenda di don Luca Favarin, sacerdote della diocesi di Padova, a riguardo del presepe. Il mio sguardo, oggi, vorrebbe soffermarsi sulle reazioni “social” all’affermazione di questo prete che ha chiesto di non fare il presepe per rispetto dei poveri, se non si è disposti all’accoglienza.

Guardo la sua pagina Facebook. Il post incriminato, al momento della mia consultazione, ha raccolto 1100 reazioni (le famose “faccine” di approvazione o disapprovazione) e ben 3400 commenti. Impossibile leggere tutto, ovviamente: scorro qui e là. Ci sono diversi commenti di sostegno, ma molti sono attacchi di uno squallore indicibile, con volgarità al limite del patologico.

I preti insultano il prete confratello

Un dato mi addolora: ci sono diversi commenti di preti. Preti che si presentano come appartenenti alla Chiesa Cattolica Romana, che hanno foto profilo con bel tricorno in testa modello don Camillo (anche don Bosco, ma permettetemi di non paragonare il Santo dei giovani a chi scrive certe cose, anche se sacerdote), con colletto del clergyman nero rigorosamente chiuso. E scrivono al loro confratello: “Vergognati, sei la feccia della società”; “vedendo te capisco perché ci si allontani dalla Chiesa”, “uno con i capelli lunghi e senza abito talare e nemmeno camicia clergyman va sospeso dal sacerdozio”, “peggio di papa Francesco”.

E, questi, sono commenti che posso riportare… immaginate gli altri. Ora, mi permetto di immaginare l’omelia natalizia di questi confratelli: Gesù è l’amore di Dio, è Dio che si fa bambino e chiede accoglienza nei nostri cuori, è l’umiltà di Dio che prende forma umana, è il più grande che si fa il più piccolo ecc. ecc. Tutto bello, tutto vero. Ma ci crediamo? Se un prete non è un prete perché non porta il colletto, possiamo parlare così di Dio? Se uno che non la pensa o non agisce  come me è da scomunicare, qual è la mia credibilità nel parlare di Dio, del suo amore che abbraccia tutti e ciascuno?

Va bene il presepe. Ma a qualche condizione

Fa male, fa male leggere queste cose chiunque le scriva, specie se scritte da confratelli sacerdoti. Siamo liberi di esprimere il nostro pensiero, non di offendere. Qualcuno, in questi giorni, per strada, mi ha chiesto un parere su queste vicende. Lo esprimo senza problemi. Con don Favarin sono d’accordo: è importante che nelle case dei cristiani non manchi il presepe, ma è fondamentale che si sia consapevoli di cosa esso rappresenti e che ci sia di aiuto per tenere aperte le questioni fondamentali della vita e della fede.

Se il presepe è ridotto a oggetto di una tradizione del fare e non dell’essere, meglio lasciar perdere e accontentarsi dell’alberello decorato. Allo stesso tempo, con tutto rispetto contesto la scelta di quel sacerdote, di cui non ricordo il nome, che ha affermato di non aver intenzione di celebrare la Messa di Natale perché la nostra società non è capace di accoglienza. Non condivido questa posizione, per diversi motivi. Innanzitutto, così facendo si attesta che tutta la comunità è incapace di accogliere: non è vero, ovunque splendono esempi virtuosi in questo senso. In secondo luogo, la Messa è Dio che si dona all’uomo, è memoriale della Pasqua del Signore, segno efficace, come tutti i Sacramenti, della grazia di Dio: noi ne abbiamo bisogno! L’Eucarestia, se vissuta come si deve, cambia il cuore. Se la comunità attraversa un momento di fatica, a maggior ragione celebro l’Eucarestia, per pregare per la comunità e con la comunità, spezzando il pane che è Corpo del Signore, perché entri in noi e cambi il nostro cuore.

A Natale siamo tutti più buoni. Quasi tutti…

A Natale si è tutti più buoni? Non sembra, leggendo certi post. Ma, forse, la bontà non può essere la finta di un periodo ridotto a un buonismo di facciata, ma una virtù, un habitus da cercare ogni giorno di più, uno stile da acquisire. Il Bambino del presepe ci faccia questo dono! Buon Natale!